giovedì 20 dicembre 2012

0 When the world’s crashing down


When the world’s crashing down
When I fall and hit the ground
I will turn myself around
Quando il mondo starà crollando
Quando cadrò e colpirò il suolo
Mi risolleverò
 crashing3 650x399 When the worlds crashing down (Reload)

Premessa 1 – Perche’ le crisi mondiali ?  L’Ipotesi di instabilità finanziaria

Le crisi finanziarie sono oggetto di studio da decenni: ma se il problema è da così lungo tempo oggetto delle preoccupazioni della comunità economica e sociale, è possibile che nessuno sia in grado di prevederle?
Per l’economista statunitense di nome Hyman Philip Minsky, semisconosciuto fino a pochi anni fa, vale un modello detto di “Ipotesi di instabilità finanziaria” e porta alla conclusione che il sistema finanziario sia endogenamente instabile poiché i singoli agenti economici (privati, industrie, banche e governi), in corrispondenza di grandi espansioni, tendono ad adottare comportamenti fortemente speculativi nell’aspettativa di un’infinita crescita economica. Questo atteggiamento è caratterizzato anche da un eccessivo indebitamento e quindi da una situazione finanziaria strettamente correlata all’andamento dei tassi di mercato. Sembra un’analisi scritta oggi, ma in realtà è stata enunciata negli anni ’70. Governi ed economisti del nuovo millennio dovrebbero rifletterci su. Secondo Minsky, ogni qualvolta si avvera un evento di “scostamento” (una nuova tecnologia, nuove infrastrutture, tassi particolarmente bassi per un lungo periodo, ecc.) gli agenti economici, presi dall’euforia delle nuove aspettative, aumentano sia i propri investimenti sia i propri livelli di spesa, in gran parte finanziandosi facendo ricorso al credito. Quest’euforia contagia anche il sistema bancario, che nella speranza di lauti guadagni, ben volentieri asseconda la sete di debito. La spirale può sembrare positiva, e fino a certi livelli di indebitamento lo è: l’economia ne trae forti benefici, si creano nuovi posti di lavoro, le aziende aumentano i fatturati e le banche con il loro credito creano le precondizioni per una crescita apparentemente infinita. Alcuni operatori economici, presi dal miraggio di enormi guadagni, nel frattempo si sovraindebitano e successivamente iniziano e reindebitarsi per pagare i vecchi debiti, fin quando non riescono più a sostenere la situazione e vanno in default. A seguito dei primi fallimenti le banche iniziano a rivedere le proprie politiche del credito e, spesso in concomitanza con un rialzo dei tassi, fungono da agente destabilizzante (con il cosiddetto “credit crunch”) portando panico fra gli attori economici e facendo scoppiare la bolla speculativa. Tanto più vorticoso è il “boom” economico, tanto più devastante diventa il crollo successivo. Va da sé che un sistema economico laddove pochi agenti economici (o troppi agenti economici) possono avere una così grande influenza, è un sistema endogenamente instabile.

Premessa 2 – Conseguenze dell’aumento dei debiti senza limiti: ritorno al punto di partenza

Rimane tuttavia un aspetto sociologico oltre che economico: quello del sovraindebitamento. Esso ha scaturito e amplificato gli effetti delle varie crisi e un sistema economico basato sull’indebitamento non potrà che riportarci al punto di partenza. Al di là degli interventi che i cittadini e le imprese possono cercare in entità sovranazionali e non, va specificato che una cultura molto radicata rispetto all’uso dell’indebitamento per salire nella scala sociale (ed esprimerlo mediante il consumo) non è sostenibile. Questo atteggiamento culturale è e sarà alla base delle cicliche crisi che continueranno ad attanagliare ogni velleità di crescita stabile e costante.
Il debito non va però demonizzato: senza di esso avremmo economie stagnanti. Ma gli agenti economici devono farne un uso congruo allo sviluppo della creatività imprenditoriale, mentre andrebbe evitato l’indebitamento finalizzato a spese inutili e speculazioni.

Premessa 3 – Le crisi recenti (subprime, eurozona, etc) sono tasselli di una crisi mondiale in atto

Una crisi come quella come affrontiamo non è solo finanziaria o economica ma culturale. Stiamo assistendo a un cambio strutturale dell’economia mondiale, con profonde ricadute geopolitiche, generato nel corso di pochi anni ed esploso con sorprendente velocità.
L’elevato grado di globalizzazione raggiunto dalla finanza e, in minor misura, dall’economia reale, ha portato la crisi da un angolo all’altro dal pianeta, colpendo però più duramente l’ex – centro del mondo (Europa e Usa) che l’ex-periferia, oggi divisa tra mondo emergente o quasi – emergente (una volta chiamato con un po’ d’ottimismo in via di sviluppo) e mondo in ritardo di sviluppo (composto da un certo numero di paesi lontani da una possibile “emersione”, e dal “sud del sud”, quelle parti di società degli emergenti non ancora toccate dalla crescita accelerata).
Un blocco della crescita economica al centro del sistema si era dato solo in occasione delle due guerre mondiali, che avevano favorito l’ascesa di chi ne era fisicamente lontano (gli Usa, che ne emersero come la nuova potenza di riferimento) e quei paesi della periferia che prosperarono grazie al fatto di essere rimasti fuori dal conflitto. Le due guerre mondiali mutarono drasticamente le realtà economiche preesistenti. L’attuale crisi sta avendo gli stessi effetti: la “guerra mondiale” cui stiamo assistendo è un conflitto più esteso, non combattuto con le armi belliche tradizionali ma con quelle finanziarie e economiche.
Spesso il mainstream analizza le crisi recenti considerandole “crisi come le altre, solo un po’ più forte”, dalla quale era logico aspettarsi di uscire facendo uso delle ricette abituali, solo usate con più determinazione. Alla fine, il mondo sarebbe tornato come prima.

Premessa 4 – Dalle recenti crisi sta uscendo un mondo profondamente diverso

Peccato che ormai sia chiaro che non è così: dalle recenti crisi sta uscendo un mondo profondamente diverso. Nel quale la crescita mondiale si origina, per la prima volta dai tempi della rivoluzione industriale, fuori dai paesi occidentali: non è la prima volta nella storia dell’umanità, dato che prima di quella rivoluzione Cina e India erano già tra le prime potenze economiche mondiali.
Siccome in Europa l’attenzione si è concentrata soprattutto sulla sostenibilità dell’euro, credo sia utile chiarire che questo è solo un aspetto della crisi, ma non quello – chiave. Se la crisi del debito che stiamo vivendo (in Europa, non solo nell’eurozona ma anche in Gran Bretagna e negli Usa) sta evidenziando la necessità di riformare a fondo un certo modo di gestire le finanze pubbliche, ma anche di modello economico.
La finanziarizzazione si è materializzata, nel corso degli anni ottanta e novanta, mediante un trasferimento in massa di risorse (i risparmi delle famiglie) dai titoli di stato che alimentarono la spesa pubblica verso i mercati azionari ed i valori immobiliari, che da allora si sono moltiplicati, dando luogo a un effetto – ricchezza abbastanza illusorio nelle classi medie, apparentemente soddisfatte dal fatto che le case acquisite si rivalutassero sempre più velocemente (i valori immobiliari urbani in occidente si sono in media quintuplicati nel corso dell’ultimo trentennio, generando l’illusione di una crescita infinita). La conseguente conversione dell’economia in finanza non ha però arricchito le classi medie: le statistiche dicono unanimemente il contrario.
Il processo aveva raggiunto il suo massimo nel periodo 2007 – 2008, al termine di un periodo nel quale gli operatori finanziari – chiave avevano creato un nuovo mostro mettendo assieme i due feticci (finanza e mattone): per dopare la crescita economica in contesti economici di capitalismo maturo (Europa e Usa), nei quali la crescita aveva raggiunto livelli fisiologicamente bassi, legati anche alla struttura demografica di società mature, non restava altro che continuare a spingere verso l’alto i valori finanziari e l’immobiliare, unici vettori di crescita nel mondo post – industriale.
Dopo l’esplosione della bolla del 2008, si pensò a un raggiustamento semi – automatico, ma la montagna di titoli in scadenza di debiti sovrani, di obbligazioni d’imprese e di buoni – spazzatura crea quegli scossoni che stanno sconvolgendo i mercati. Non ce ne sarà per tutti, e questo porterà al fallimento d’imprese e probabilmente anche Stati. La competizione per ottenere risorse per sopravvivere non porterà, purtroppo, a un ridimensionamento “negoziato” (un po’ di meno per tutti, in cerca del bene comune), ma sarà il risultato di una guerra senza esclusione di colpi, di cui una delle armi principali è la pressione informativa, i costanti allarmismi, i messaggi devianti, lo scarico di responsabilità su altri colpevoli.
Le dimensioni enormi e finanziarie della crisi hanno avuto per effetto di rendere insufficiente la prima risposta di tipo keynesiano, che ha avuto come corollario aggravante quello di mettere in crisi gli Stati. Grazie al processo di convergenza verso l’euro, quelli europei venivano da un decennio di buona salute finanziaria. Gli Usa invece il loro bonus lo hanno sciupato in Iraq, in Afghanistan e nella riduzione fiscali per i più abbienti. Si è aggravata la situazione d’indebitamento degli Stati senza che migliorasse quella delle imprese e della stragrande maggioranza delle famiglie, le altre due macrocomponenti del sistema.

Premessa 5 – La crisi degli Stati e dell’Euro: chi paghera’?

 In questo quadro, gli Stati sono ridivenuti i “cattivi”: la finanza è riuscita a uscire più o meno intatta dal disastro provocato e rilancia. Gli Stati si vedono attaccati da più parti, in primis da agenzie di rating che hanno un ruolo fondamentale nel dare le carte. L’indebitamento degli Stati è in fondo ancora contenuto rispetto alla quantità di titoli spazzatura in circolazione: sono loro l’anomalia del sistema, non gli Stati, come sembrerebbe al leggere la stampa.
La vera guerra è quindi quella delle risorse relativamente scarse: diversi i fronti di battaglia. Quello dell’euro è molto gonfiato, a causa delle debolezze dimostrate dall’architettura dell’eurozona. In realtà, la valuta euro non è debole, e i mercati lo confermano (vedere quotazioni dall’inizio della crisi) e l’eurozona nel suo complesso sta meglio di Usa, Giappone e Gran Bretagna da un punto di vista macroeconomico, specie quando sommiamo debiti privati, pubblici ed esposizione del sistema finanziario, una sommatoria catastrofica nel caso dei due anglosassoni.
Il ritorno alle monete nazionali, per tutti o solo per qualcuno, supporrebbe un peggioramento della crisi globale, dato che al fallimento della maggioranza delle imprese aventi debiti denominati in euro e divenuti impagabili nelle nuove valute, si sommerebbe il fallimento degli Stati, a loro volta sommersi da montagne di debiti non fronteggiabili. L’impoverimento netto dell’ex – Eurozona sarebbe molto più significativo delle sofferenze attuali, e l’intero capitale di asset produttivi europei (il più grande al mondo) andrebbe sul mercato a prezzi stracciati, per la gioia degli investitori d’ogni altra parte del mondo. Ma non confondiamoci, la crisi dell’euro non è né la causa delle incertezze globali né il problema principale: semmai ne è un sintomo. Il nodo della questione è chi pagherà, nei prossimi due – tre anni. Chi si arricchirà e chi si impoverirà, tra paesi, imprese e famiglie. Esattamente come successe nel caso delle due guerre mondiali del XX secolo, che arricchirono alcuni e impoverirono altri, portandosi dietro un mondo e creandone uno diverso.

Conclusioni: e’ possibile risorgere?

L’occidente e’ in crisi profonda, una crisi economica e finanziaria ma anche culturale. La crisi e’ anche una crisi di sistema, di finanze pubbliche allegre, di debiti di stati, imprese e famiglie che crescono in modo indefinito.
Da questa crisi se ne uscira’ unicamente con una cambio di modello economico e culturale: resta da capire se cio’ avverra’ a seguito di un BIG BANG (crisi globale finale o evento traumatico) o se avverra’ preventivamente per presa coscienza collettiva (improbabile ma non impossibile).
L’occidente deve abbandonare illusioni di crescite economiche artificiali a debito, di Spese pubbliche improduttive ed allegre, di soluzioni tramite scorciatoie, di comportamenti e stili di vita non compatibili con la sostenibilita’ a lungo termine.
L’occidente deve agire sulla spesa rendendola produttiva, sui debiti affinche’ siano sostenibili ed incentrati su investimenti, sulla demografia (che deve essere sostenibile), sulla finanza (che deve essere mezzo e non scopo), sulla produzione di ricchezza basata sul sudore del lavoro (e non su quella di scommettere nella slot machine di turno), sui valori genuini, semplici e veri (buon senso, senso del dovere, famiglia, risparmio, realismo).
Dobbiamo puntare come valore primario al lasciare alle future generazioni qualcosa migliore di cio’ che si e’ ereditato, o comunque dar loro la possibilita’ di avere e costruirsi un futuro”… concetto banale, ma che vale piu’ di 100 articoli costituzionali a mio vedere.

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mercoledì 19 dicembre 2012

0 Verso la Bancarotta: l’Italia ha l’Energia Elettrica piu’ cara del Mondo. Vediamo il perche’ di questo scandalo.


Le Imprese e le Famiglie Italiane pagano le bollette di energia elettrica piu’ care al Mondo. Vediamo perche’.
V’ho riportato sotto 3 grafici che chiariscono 3 cose:
a) L’Italia ha prezzi dell’energia elettrica costantemente superiori al resto d’Europa, in modo netto
b) La Capacita’ di Generazione e’ aumentata a dismisura nell’ultimo decennio (+60% della potenza installata)
c) I consumi di energia elettrica sono costanti o addirittura in leggera flessione
Le 3 cose, sembrerebbero in contraddizione. Di fronte ad un imponente aumento della capacita’ produttiva (a fine 2012 avremo quasi 130.000 MW di potenza installata, ben 50.000 piu’ di un decennio fa, contro una richiesta che varia tra 25.000 e 55.000 MW), la Produzione complessiva e’ rimasta costante. Infatti, nonostante il quantitativo incredibile di nuove Centrali entrate in funzione, l’Import di elettricita’ (circa il 15% dei consumi) e’ rimasto costante.
Perche’?
Semplice, perche’ l’Italia ha investito decine e decine di miliardi nell’ultimo decennio, in fonti di generazione completamente fuori mercato.
Tanto per darvi un idea, l’Italia ha oggi:
- Centrali per alcune migliaia di MW ad Olio Combustibile, fatte negli anni 80, tenute spente (sono di riserva)
- Centrali per alcune decine di migliaia di MW, Turbogas a ciclo combinato ad altissimo rendimento, costruite ed entrate in funzione 5-10 anni fa (quindi nuove di zecca), fortemente sotto-utilizzate. Per darvi un idea, tra novembre 2007 e novembre 2012 i consumi di gas nelle Centrali ha fatto -47%.
- Centrali Eoliche e Fotovoltaiche per 24.000 MW (stima a fine 2012), con produzione ovviamente non regolabile (vanno quando c’e’ sole e vento).
Ma vediamo i grafici: 

energia1 Verso la Bancarotta: lItalia ha lEnergia Elettrica piu cara del Mondo. Vediamo il perche di questo scandalo.

Se leggete i programmi politici, delle varie formazioni di destra e sinistra, leggerete in modo costante cose del tipo: “l’Italia deve puntare a ridurre la dipendenza dall’estero, liberalizzare, aumentare la produzione di fonti rinnovabili per cogliere l’obiettivo del 20-20-20, adeguandosi al resto d’Europa“.
Ebbene, nell’ordine:
a) L’obiettivo del 20-20-20 l’abbiamo raggiunto gia’ nel 2012 (8 anni prima del target), per l’effetto combinato del crollo dei consumi e del boom del fotovoltaico
b) L’Italia ha incentivato investimenti nelle rinnovabili (essenzialmente nel fotovoltaico) in modo assurdo che costeranno 9 miliardi all’anno per 20 anni in bolletta, e che riducono di appena 2 miliardi l’import di gas.
c) Il resto d’Europa, contrariamente a quanto vi viene detto, ha una produzione basata sul nucleare o sul carbone. E’ pur vero che investire nel nucleare oggi e’ per molti motivi sconsigliabile (se non altro per il fatto che non te lo faranno mai fare), ma non c’e’ alcun dubbio che la fonte che costa meno al mondo nella Produzione di elettricita’ e’ e resta il Carbone, che non casualmente e’ in praticamente tutto il mondo (a parte l’Italia ovviamente), la fonte maggiormente utilizzata. Nel resto d’Europa, inoltre, l’eolico ha una producibilita’ doppia (es. Spagna, Germania e Daninarca) di quella italiana, visto che c’e’ vento. Oltre all’Italia, ha investito molto sul solare, unicamente la Germania, ma con incentivi meno onerosi, e con alle spalle un’industria nazionale nella produzione di celle (noi semplicemente abbiamo arricchito l’import da Cina e Germania).
d) L’Italia manca completamente di un Piano Energetico nazionale. Ha consentito investimenti abnormi nelle centrali a gas, che poi sotto-utilizza perche’ fuori mercato (ma ovviamente alla fine questi investimenti sono stati fatti pagare in bolletta ai cittadini ed alle imprese). Poi ha incentivato in modo assurdo le rinnovabili, salvo ipotecare per 20 anni imprese e famiglie ad un salasso.

 Cosa dovrebbe fare l’Italia?

Tante cose. Certamente avere un piano a lungo termine. Certamente fare una serie di riforme per aumentare la competizione. Certamente dovrebbe andare da coloro che stanno godendo di assurdi premi sugli incentivi fotovoltaici e rinegoziarli al fine di ridurli. Ovviamente l’Italia deve minimizzare per diversi anni il fare nuovi investimenti (visto che alla fine qualcuno paga), salvo investimenti che hanno una logica e che possono realmente aiutare a ridurre i prezzi, per cui investimenti in centrali ad alta efficienza a Carbone (in sostituzione delle vecchie centrali ad olio a bassa efficienza), ed alcune inziative nelle rinnovabili e nel risparmio energetico (e qui aiuterebbero normative sulle nuove abitazioni).
  
PS: aspetto al varco il primo sapientone che nei commenti dira’ “va incentivato di piu’ il solare e l’eolico”. A costui chiedo di non lamentarsi se le industrie pesanti Italiane stanno chiudendo una dopo l’altra. A costui chiedo di pagare una quota della bolletta di energia elettrica che ricevo, perche’ personalmente non ho alcuna voglia di finanziare l’irrazionalita’.

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martedì 18 dicembre 2012

0 Esclusivo – Simulazione della Pressione Fiscale e Contributiva Reale su un Amministratore Delegato, un Quadro Aziendale ed un Impiegata TD part Time (tra 64 e 80%)


Ho voluto integrare la simulazione fatta in precedenza:
Esclusivo – Simulazione della Pressione Fiscale e Contributiva Reale su un Dirigente, un Impiegato ed un Operaio (tra 66 e 77%)
calcolando altre 3 casistiche, un Amministratore Delegato che guadagna 200.000 euro, un Quadro Aziendale ed un Impiegata a Tempo Determinato Part Time che ne guadagno 60.000 e 18.000 euro, per vedere a monte il COSTO DEL LAVORO ed a valle il netto in busta paga; in conclusione ho simulato il peso della tassazione indiretta, sulla casa, etc per vedere quanto realmente LA REALE DISPONIBILITA’.

I Risultati sono sconvolgenti:
- la PRESSIONE FISCALE, TRIBUTARIA E CONTRIBUTIVA e’ per l’impiegata a tempo determinato part time del 64%, vale a dire che nella realta’, ogni 100 euro che l’azienda paga, lo stato in un modo o nell’altro si impossessa di 64 euro, e solo 36 vanno a lei.
- per il Quadro aziendale e’ la PRESSIONE FISCALE, TRIBUTARIA E CONTRIBUTIVA e’ del 73%, vale a dire che nella realta’, ogni 100 euro che l’azienda paga, lo stato in un modo o nell’altro si impossessa di 73 euro, e solo 27 vanno a lui
- per il Manager, Amministratore Delegato infine la PRESSIONE FISCALE, TRIBUTARIA E CONTRIBUTIVA e’ del 80%, vale a dire che nella realta’, ogni 100 euro che l’azienda paga, lo stato in un modo o nell’altro si impossessa di 80 euro, e solo 20 vanno a lui


pressione fiscale by GPG Esclusivo – Simulazione della Pressione Fiscale e Contributiva Reale su un Amministratore Delegato, un Quadro Aziendale ed un Impiegata TD part Time (tra 64 e 80%)  

No, ma dico, avete capito: l’azienda paga 3 euro alla lavoratrice a tempo determinato part time, 2 se ne vanno in contributi e tasse varie dirette o indirette, e lo sventurato ne prende 1.
Per il l’amministratore delegato, l’azienda paga 5 euro, ben 4 se ne vanno in contributi e tasse varie dirette o indirette, e questo ne incassa nella realta’ 1.

Qualcuno mi dira’: ma allora perche’ la Pressione Fiscale e Contributiva complessiva e’ del 45%?
Semplice. In primo luogo la si calcola come rapporto tra entrate fiscali e contributive e PIL; il PIL notoriamente include il sommerso: escludendo il sommerso e rifacendo il rapporto col PIL non nero la pressione sale al 55%. Pero’ questa e’ calcolata su tutti quanti: e’ ovvio che i Pensionati e chi percepisce assegni dallo stato non pagano Contributi, per cui ha percentuali minori di pressione fiscale. Chi Lavora, come le persone dei 3 casi di cui sopra, e’ sottoposto a pressioni fiscali e contributive che vanno dal 60% (per un impiegato part time di bassissimo livello) all’80% (per un dirigente di alto livello o un imprenditore).
Mi verrebbe da dire: Benvenuti in U.R.S.S.!
L’Italia e’ attanagliata da infiniti problemi, e tutti ricercano soluzioni. Bene. Non c’e’ dubbio che una nazione che sottopone IL LAVORO a pressioni fiscali e contributive da Record nel Mondo non va da nessuna parte. Badate che percentuali di questo tipo non trovano riscontro neanche nei paesi del Nord Europa, che tra l’altro hanno anche servizi spesso piu’ efficienti.
Meditate!

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lunedì 17 dicembre 2012

0 Lombardia sta ad Italia, come Germania sta ad Unione Europea? Non proprio….


PREMESSA

I commentatori piu’ acuti mi hanno posto un quesito interessante:
“ma non e’ che la Lombardia ha un andamento economico in questa crisi migliore di quello Italiano, al pari della Germania in Europa, perche’ c’e’ un parallelismo tra le 2 situazioni?”
Un amico su Facebook si spinge a dirmi giustamente:
“ma perche’ tu hai delle perplessita’ sul ruolo tedesco in Europa, e non manifesti analoghe perplessita’ per la Lombardia in Italia?”
Domande lecite, ed anche di un certo calibro. Proviamo a studiare insieme.

germania lombardia Lombardia sta ad Italia, come Germania sta ad Unione Europea?  Non proprio....

(step 1) LA GERMANIA IN EUROPA e LA LOMBARDIA IN ITALIA: COSA FUNZIONA NEL PARALLELISMO

Vediamo cosa torna del parallelismo. Effettivamente su parecchi fattori il parallelismo torna.
  • Il fattore dimensionale: La Germania pesa circa il 18% della popolazione della UE-27, la Lombardia il 16,4% di quella Italiana. Ambedue pesano per oltre il 20% del PIL e quasi il 30% dell’export (l’una dell’Europa, l’altra dell’Italia)
  • La Germania ha una Ricchezza pro-capite del 20% circa sopra la media UE-27, la Lombardia del 30% sopra la media Italiana
  • Tanto la Germania, quanto la Lombardia hanno un predominio nell’industria manifatturiera. Durante la crisi 2008-2012 l’industria Tedesca ha andamenti migliori della media dell’industria Europea, e l’industria Lombarda va medio della media dell’industria Italiana
  • Bilancia dei Pagamenti fortemente attiva: la Germania ha un’attivo del conto corrente di ben il 6% sul PIL nel 2012, mentre la Lombardia si aggirera’ nel 2012 a quasi il 15% del PIL
  • Germania e Lombardia sono realta’ fortemente creditrici: la Germania e’ una nazione fortemente creditrice ed ha accomulato (in particolare negli ultimi 10 anni) una consistente Posizione netta attiva sull’estero. La Lombardia ha un attivo sul resto d’Italia e del Mondo ancor piu’ consistente e lo ha piu’ o meno da sempre.
  • La Germania ha i vantaggi dell’Euro, la Lombardia aveva i vantaggi della Lira: e’ indubbio che la Germania con l’Euro ha visto ampliarsi a dismisura gli attivi con l’estero (visto che l’Euro non rivaluta come il Marco) com’e’ indubbio che la Lombardia da 150 anni gode di una moneta, la Lira, che e’ assai piu’ debole di quello che sarebbe una moneta Lombarda (e cio’ parimenti aiuta l’export)
  • Bassa evasione fiscale tanto in Germania quanto in Lombardia
In sintesi: Germania e Lombardia sono realta’ con fortissima forza Manifatturiera, export-oriented, creditrici, e su questi fattori giocano lo stesso ruolo rispettivamente in Europa ed in Italia.


(step 2) LA GERMANIA IN EUROPA e LA LOMBARDIA IN ITALIA: LE DIFFERENZE NEL PARALLELISMO

 Vediamo ora alcuni aspetti in cui il parallelismo non funziona perfettamente.
  • Componenti del PIL.  Tanto la Germania quanto la Lombardia hanno una fortissima componente legata all’Industria, ed una debole componente legata all’Agricoltura (in ambedue i casi la Lombardia fa un po’ meglio). La Lombardia pero’ fa decisamente meglio in una serie di attivita’ del Terziario tendenzialmente produttive (Attività finanziarie e assicurative, attività professionali, terziario avanzato, servizi alle imprese, Logistica, Commercio all’ingrosso e al dettaglio, etc), mentre la Germania ha una componente del PIL decisamente maggiore nelle attivita’ connesse alla Spesa Pubblica (Amministrazione pubblica e difesa, assicurazione sociale obbligatoria, istruzione, sanità e assistenza sociale, etc)
  • Finanza, Credito e servizi avanzati: quanto visto sopra conferma cio’ che tutti sanno; la Lombardia non e’ solo il cuore industriale e dell’export in Italia, ma anche il cuore finanziario, fieristico, logistico, creditizio e dei servizi avanzati. La Germania ha unicamente un chiaro primato industriale e nell’export, ma nei servizi non ha assolutamente un ruolo preminente in Europa. Sappiamo perfettamente tutti che Londra e Parigi, per esempio, sono centri di assoluta preminenza nella finanza, borsa e nei servizi avanzati. L’Olanda ha un primato indiscusso in Europa su alcuni aspetti Logistici (i Porti). In sintesi qui il parallelismo non funziona del tutto. 
  • La Spesa Pubblica ed i Conti Pubblici: anche qui le differenze sono sostanziali. La Lombardia ha una spesa pubblica al netto degli interessi che si aggira sul 35%, la Germania e’ sul 45%. Quanto al Deficit Pubblico, la Germania ha un attivo primario del 2% scarso, la Lombardia nel 2012 viaggia sul 15% di residuo fiscale attivo (una cifra semplicemente enorme)
 In sintesi: La Germania e’ nettamente piu’ dipendente dalla Spesa Pubblica della Lombardia ed ha rispetto a questa meno forza in alcuni settori essenziali dei servizi, non ha il ruolo di “Potenza preminente in Europa” finanziaria e nei servizi avanzati che invece ha la Lombardia in Italia. Inoltre la Lombardia e’, presa isolatamente, piu’ solida della Germania sul fronte dei conti pubblici (ed aggiungo pure di quelli privati)


(step 3) LA GERMANIA IN EUROPA e LA LOMBARDIA IN ITALIA: 3 DIFFERENZE ABISSALI NEL PARALLELISMO

Ora vediamo 3 aspetti in cui il parallelismo non funziona per niente.
  • La Germania ha un Residuo negativo nei trasferimenti verso l’Unione Europea pari a circa lo 0,35% del suo PIL. La Lombardia nel 2012 fara’ segnare un Residuo Fiscale negativo con resto del Mondo (essenzialmente col resto d’Italia) pari al 15% del suo PIL (cifra che non ha eguali a livello planetario).
  • La Germania ha una Legislazione diversa dal resto d’Europa ed ha potuto condurre politiche a suo vantaggio (e quindi a svantaggio altrui). La Lombardia e’ inserita in Italia ed ha identica Legislazione, stesso Mercato del Lavoro ed e’ perfino sottoposta a maggior pressione fiscale e tributaria (visto che nel resto d’Italia lavoro nero ed evasione sono maggiori). In sintesi la Lombardia e’ in gabbia nel panorama Italiano, mentre la Germania fa sostanzialmente i fatti suoi.
  • La Germania puo’ fare svalutazioni de facto, anzi le ha fatte (la Riforma del mercato del Lavoro “Hartz”, con la creazione di 7 milioni di minijob che sostanzialmente non pagano contributi, ha consentito alla Germania di passare da “grande malato d’Europa” che sfondava il 3% di Deficit regolarmente ed aveva piu’ disoccupati di tutti e cinque i PIIGS, col PIL piu’ asfittico alla Locomotiva Europea, che tra l’altro impone agli altri le politiche che desidera e che le convengono; altro dettaglio e’ che la Germania ha compresso la propria domanda interna, ed in parallelo svalutato con le riforme del mercato del Lavoro, ed al contempo usufruito del cambio dell’Euro, nettamente piu’ favorevole al suo sistema produttivo di quello di una moneta sovrana). La Lombardia su queste cose ha le mani legate (ogni vantaggio che ottiene, viene divorato dal residuo fiscale)
In sintesi: la Germania sostanzialmente non fa “solidarieta’” (da’ lo 0,35% del suo PIL al resto d’Europa), mentre la Lombardia lo fa oltremisura (arrivera’ nel 2012 a dare la stratosferica cifra del 15% del suo PIL in trasferimenti al resto d’Italia). Inoltre la Germania deve le sue fortune sostanzialmente all’espansione della propria produzione industriale e componente estera del PIL ottenuta grazie a riforme sostanzialmente fatte ai danni del resto d’Europa, mentre la Lombardia non gode e non ha sostanzialmente goduto di “politiche” locali fatte per avvantaggiarsi (ha solo continuato ad importare immigrati per tenere basso l’andamento del costo del Lavoro). In sintesi la politica tedesca e’ “di aggressione economica” verso i partners europei, quella Lombarda di “solidarieta’ e sostanziale condivisione”.

CONCLUSIONI:

Tutti gli studi e ripeto tutti, dicono che se l’EURO saltasse per aria, la Germania prenderebbe una mazzata epocale. Senza farla troppo lunga: si tornerebbe verosimilmente a 10-15 anni fa, quando le Partite Correnti della Germania erano in pareggio, a causa del forte apprezzamento del Marco. La Germania tornerebbe probabilmente alla condizione di malato d’Europa in quanto a crescita del PIL, nella stessa identica condizione del Giappone in Asia (nazione estremamente simile alla Germania, e che di recente ha alcuni problemucci, che avrebbero pure verosimilmente anche i tedeschi, se avessero il Marco). Un ritorno al Marco equivarrebbe ad una Rivalutazione media della moneta tedesca verosimilmente del 12-18% sul resto del mondo, e quindi un calo del 60-90% dell’attivo del conto corrente estero.
Non credo proprio che cio’ accadrebbe per la Lombardia visto che il Residuo Fiscale e’ di dimensioni talmente colossali (15% sul PIL), da poter compensare gli svantaggi dell’apprezzamento della propria moneta o di un forte ridimensionamento dei mercati di sbocco interni. La Lombardia inoltre, e’ molto forte nei segmenti economici che crescono e cresceranno maggiormente (servizi avanzati, finanziari, professionali e logistici) a differenza della Germania, e cio’ le consente una situazione meno buia.
Paradossalmente la GERMANIA ha interesse vitale a tenere in piedi l’EURO ed il sistema alle sue spalle, mentre la LOMBARDIA ne ha molto meno (visto che da’ una cifra del 15% del suo PIL che e’ semplicemente astronomica).
Altro dettaglio: in questa CRISI la Germania ha avuto un andamento economico migliore del resto d’Europa non tanto per particolari virtu’ (che e’ un “mantra” che si sente regolarmente dire, ma che ha poco senso visto che non spiega perche’ 10 anni fa la Germania, che era comunque piu’ virtuosa del resto d’Europa e piu’ efficiente, era comunque il grande malato d’Europa), ma semplicemente perche’ ha utilizzato l’EURO e l’EUROPA a proprio esclusivo vantaggio, facendo una politica di aggressione verso il resto d’Europa tramite una svalutazione interna legata alla compressione della domanda interna ad alla riforma Hartz che ha creato milioni di sottooccupati da usare come arma economica contro i partners.
La Lombardia, di contro, fa una “solidarieta’” verso il resto d’Italia che e’ dimensionalmente 50 volte quella che la Germania fa verso il resto d’Europa. La Lombardia sta avendo nel 2008-12 un andamento migliore di PIL e Produzione Industriale rispetto al resto d’Italia, grazie al miglior andamento del suo Valore aggiunto nel Manifatturiero e soprattutto in vari settori del Terziario Avanzato  (Attività finanziarie e assicurative, attività professionali, terziario avanzato, servizi alle imprese, Logistica, Commercio all’ingrosso e al dettaglio, etc), e cio’ non e’ legato a politiche aggressive o a svalutazioni monetarie o del mercato del lavoro, ma semplicemente al fatto che in una situazione di forte crisi, il sistema economico Lombardo da’ ed ha dato maggiori garanzie di efficienza, di fare sistema e di competitivita’. 


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domenica 16 dicembre 2012

0 Esclusivo: i dati del PIL regione per regione tra 2008 e 2011 (la crisi cambia la geografia economica italiana)


La Crisi che viviamo dal 2008 ad oggi ha cambiato la geografia Italiana ed Europea.
Ho voluto riassumervi i dati del PIL anno per anno dal 2008, e quelli cumulati tra il 2008 ed il 2011.
Si nota che nell’insieme dei 4 anni, il PIL e’ stato -4,5% in Italia, ma con -3,5% al Nord e -6,8% al Sud.
E’ interessante notare che in verita’, tra le grandi regioni Italiane solo la Lombardia e’ tornata vicina ai livelli pre-crisi (-1,1% tra 2008 e 2011), mentre tutte le altre regioni Italiane soffrono, sia quelle industriali del Nord (Piemonte -5.9%, Veneto -5,7%, Emilia Romagna -4,2%), sia le regioni Centrali (Toscana -2,6%, Lazio -4,6%), che quelle meridionali che letteralmente crollano (Campania -8,4%, Sicilia -7,3%, Puglia -5,6%).
Tra il 2010 ed il 2011, nel PIL cumulato la Lombardia fa +4,9%, Piemonte +4,5%, Veneto +2,7%, Emilia +3,3%, Liguria +0,3%, Toscana +1,9%, il Lazio fa appena +0,3%, Campania e Sicilia rispettivamente -1,6% e -1,2%.
In estrema sintesi la crisi dei subprime prima e degli euro-stati poi, ha completamente modificato le dinamiche precedenti dell’andamento del PIL:
- la Lombardia che e’ la regione meno dipendente dalle spese pubbliche e con un economia bilanciata su export, imprese manifatturiere e servizi privati si rafforza ed ha dinamiche del PIL non troppo diverse dalla Germania (mentre prima del 2008 cresceva a ritmi simili o leggermente inferiori alla media nazionale)
- Le altre regioni industriali del Centro-Nord (Veneto, Emilia, Toscana, Piemonte) hanno andamenti che non si discostano troppo dalla media nazionale. Il Nord est prima della crisi faceva da locomotiva, ma ora ha ceduto il ruolo alla Lombardia.
- Il Lazio, fortemente dipendente dalla Spesa Pubblica, e che prima del 2008 cresceva a ritmi superiori alla media, regge meglio gli anni della crisi dei subprima (2008-09) ma arranca di brutto successivamente.
- Nel Sud e’ un disastro. Situazione bruttissima in Campania e Sicilia, mentre soffrono meno Puglia e Sardegna.

PIL 1 Esclusivo: i dati del PIL regione per regione tra 2008 e 2011 (la crisi cambia la geografia economica italiana)


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venerdì 14 dicembre 2012

0 Analisi del DEFAULT di uno Stato: cerchiamo di capire perche’ e quando accade, e cosa accade dopo


PREMESSA:

Vorrei, insieme a voi, capire il perche’ del Default. Spesso sentiamo opinionisti e media dirci che sta arrivando il defaut e che dopo moriamo tutti di fame. Ci dicono che cio’ e’ causato dal Lupo Cattivo esterno (la grande speculazione, il grande complotto internazionale, il Soros di turno, etc) oppure dal Lupo Cattivo interno (lo Stato, le Banche, la spesa pubblica eccessiva, etc). Ovviamente, generalmente, ci dipingono un futuro disastroso, in cui la popolazione deve “espiare” le proprie colpe. Ci dicono inoltre che il default arrivera’ in un tempo X, anche se quasi sempre tali previsioni sono regolarmente smentite.
Onestamente, non voglio dire che costoro non hanno delle ragioni, ma che, dipingono scenari che semplicemente non hanno un riscontro nella realta’ successiva. Vorrei partire dal presupposto di voler cercare di “capire le cose”, e non di “tirare una riga morale dividendo il mondo in buoni e cattivi”, e credo che cio’ sara’ gia’ un passo avanti notevole.


1) FINANZA, CRISI, DEFAULT: COSA SONO?

La Finanza, senza usare i paroloni tipici dei sapientoni, altro non e’ che una “promessa”, la promessa di un debitore di restituire denaro, remunerando opportunamente un creditore. Per cui, le “aspettative” di un evento spesso sono piu’ importanti dell’evento stesso. Dunque la finanza si basa sulla “fiducia”. La finanza non ha morale: accaduto l’evento, si riadatta alla situazione, e cerca nuovamente il business e la remunerazione.
Le Crisi, altro non sono che momenti di tensione, generati da squilibri tra il soggetto in crisi ed il resto del mondo, che a loro volta generano il timore di non mantenimento della promessa.
Il Default di uno Stato e’ la condizione in cui il governo di un paese non è in grado o  si rifiuta di pagare in tutto o in parte il proprio debito. Solitamente il fatto non è improvviso, ma è preceduto da un periodo di difficoltà (una crisi del debito) come quello che vede protagonista la Grecia. Durante le crisi del debito aumenta la pressione dei creditori per prendere misure economiche adeguate, ed in passato il default di uno stato nazionale ha causato anche l’invasione da parte del paese creditore: così ha fatto il Regno Unito nel 1876 e nel 1882 con Turchia ed Egitto. Nella storia, i fallimenti hanno avuto cause apparenti molto varie, come guerre, crollo improvviso dei prezzi dei beni, o un accumulo troppo alto di debito nel corso del tempo. Dal punto di vista finanziario, invece, i segnali d’allarme sono un rialzo eccessivo dei tassi di interesse, ovvero degli interessi che un paese deve promettere per farsi prestare i soldi, oppure l’improvvisa scomparsa della domanda per i titoli di stato di un paese. Altri ancora sono un crollo del valore della moneta nazionale, che rende troppo costoso pagare i debiti espressi in valuta estera.


2) CONSEGUENZE ECONOMICHE DEL DEFAUT

Spesso le conseguenze economiche di un default sono recuperabili in pochi anni, almeno dal punto di vista della ricchezza complessiva dello Stato. Più difficile è recuperare la fiducia degli investitori, soprattutto stranieri, e un default ha comunque conseguenze molto pesanti sui meccanismi del credito e sul sistema bancario. L’impossibilità di pagare i propri debiti rende molto difficile per uno Stato, per molti anni a venire, piazzare titoli sui mercati internazionali senza il sostegno di istituzioni internazionali come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale.
Solo negli ultimi cinquant’anni ci sono stati 126 casi di default di stati nazionali, alcuni dei quali hanno dichiarato bancarotta più volte: il Venezuela, un caso piuttosto limite, nel 1982, 1990, 1995-1997, 1998 e 2004. Nel 1983 fallirono 17 diversi stati del mondo. I default tendono ad avvenire “a gruppi”, e questo viene spiegato solitamente con il fatto che gli investitori colpiti da un fallimento hanno spesso altri investimenti in altri paesi a rischio, e cercano di venderli per limitare le perdite. Un esempio di fallimenti “a gruppo” sono le prolungate crisi del debito nei paesi sudamericani negli anni Ottanta e Novanta.
Gli effetti di un default vengono spesso recuperati rapidamente sul fronte del PIL dalle economie dei paesi che dichiarano fallimento. Il grafico mostra l’andamento in percentuale del prodotto interno lordo prima (barre azzurre) e dopo il default (barre blu) sulla base di cinque anni. L’Argentina, per esempio, vide ridursi il proprio PIL del 10,9 per cento nell’anno seguente al default del dicembre 2001. Ma le cose iniziarono a migliorare già negli anni seguenti portando a una importante crescita del PIL. Qualcosa di analogo accadde anche a Russia, Uruguay e Indonesia.

 default2 Analisi del DEFAULT di uno Stato: cerchiamo di capire perche e quando accade, e cosa accade dopo.


In questo nostro viaggio nella Comprensione del Default, possiamo pensare che  i default producono generalmente molti disastri prima che l’evento si verifichi, o nell’immediato futuro, ma a medio termine e’ elevata la probabilita’ che la nazione che dichiara il default si riprenda. Insomma, a fare piu’ danni e’ la “promessa di rompere un fidanzamento”, piu’ della rottura dello stesso. 


3) COSA HANNO IN COMUNE LE GRANDI CRISI DEGLI STATI CHE POTREBBERO PORTARE O CHE HANNO PORTATO A DEFAULT ?

Le grandi crisi degli Stati che potrebbero portare a default o che hanno portato a Default di una nazione, hanno in comune generalmente alcuni ben precisi elementi:
a) Squilibri dello Stato in questione col resto del mondo (possono essere di vario tipo)
b) Una bilancia dei pagamenti persistentemente passiva (non s’e’ mai verificato un default in una nazione con bilancia dei pagamenti in equilibrio o in attivo), cosa che porta ad un deflusso di capitali. Un conto corrente passivo e’ condizione necessaria ma non sufficiente ad una crisi degli stati.
c) Una “miccia” (magari una causa contingenete interna o esterna, che innesca la crisi generata da quanto ai punti a) e b) di cui sopra)
Quanto sopra implica un imponente deflusso di capitali che ovviamente fa schizzare verso l’alto la “sfiducia” ed ovviamente i Tassi. Non ci credete? Controlliamo.

 crisi1 Analisi del DEFAULT di uno Stato: cerchiamo di capire perche e quando accade, e cosa accade dopo.

Notate niente? Quali sono i paesi in crisi, quelli che hanno aumentato il debito o quelli che hanno accumulato persistenti passivi nella Bilancia dei Pagamenti? Lo vedete da voi.
Prendiamo la recente crisi dei Debiti sovrani nell’area Euro e cerchiamo di capirne le cause. L’interpretazione delle cause della crisi data dai Media e passata nell’opinione pubblica e’ connessa all’incremento dei Debiti Pubblici ed all’irresponsabilita’ fiscale. Peccato che facendo una foto nel 1999 ed alcune piu’ recenti, nel 2007, 2011 e 2012, si vede in modo evidente che la spiegazione legata al debito pubblico ed all’irresponsabilita’ fiscale non regge. I paesi colpiti, invece, coincidono perfettamente con gli squilibri cumulati nel conto corrente della bilancia dei pagamenti. L’interpretazione della crisi europea come crisi fortemente connessa agli squilibri nella bilancia dei pagamenti è inoltre suffragata dall’elevato volume di prestiti bancari erogati dai paesi in surplus ai paesi in deficit prima del dispiegarsi della crisi, dalla successiva interruzione di questi flussi finanziari e, quindi, dagli squilibri crescenti del sistema Target 2. Sono stati gli squilibri reali all’interno dell’eurozona ad aver dato origine a flussi di capitale privati che, tuttavia, non hanno contribuito a stimolare un processo di convergenza all’interno dell’eurozona. Con l’ampliarsi degli squilibri e con il successivo manifestarsi della crisi, gli interventi di salvataggio dei governi hanno poi trasformato i debiti da privati a pubblici.
Se invece ci si concentra esclusivamente sulla crisi europea iniziata nel Gennaio 2010, il ruolo del debito pubblico diventa trascurabile, mentre i differenziali di produttività del lavoro emergono come il secondo fattore chiave, insieme alla liquidità del mercato, per spiegare l’ampliarsi degli spread. In sintesi, se è vero che l’irresponsabilità fiscale dei paesi periferici ha certamente contribuito ad aggravare la vulnerabilità dell’UEM, quest’ultima non può essere interpretata unicamente come il risultato di una mancata disciplina fiscale. L’interpretazione della fragilità dell’eurozona come crisi di bilancia dei pagamenti non è necessariamente incompatibile con l’interpretazione fiscale. Pur riconoscendo l’importanza risanamento dei conti pubblici, da perseguire nel lungo periodo, si identifica l’origine della crisi sovrana in un adeguamento insufficiente (e un’inadeguata ripartizione degli oneri dell’aggiustamento) tra paesi in surplus e in deficit nel conto corrente della bilancia dei pagamenti all’interno dell’unione monetaria.
Non è più possibile rinviare la discussione su come impostare una riforma fiscale in ambito europeo. Aggiustamenti redistributivi all’interno dell’eurozona sono stati finora impediti dall’assenza di un meccanismo di trasferimento che sarebbe normalmente presente in Stati sovrani, da tassi di cambio reali che non convergono, e da una bassa crescita economica. Si tratta di problemi annosi, già trattati dai rapporti MacDougall e Delors, che auspicavano la creazione di un considerevole budget fiscale centralizzato per l’eurozona, al fine di stabilizzare shock regionali attraverso la redistribuzione delle risorse tra le regioni. L’alternativa e’ “tana libera tutti”: ognuno per la sua strada ed Euro bye bye.


4) LA QUALITA’ E LA SOSTENIBILITA’ DEI DEBITI PUBBLICI

 Ho gia’ affrontato ampiamente l’argomento. Vi invito a leggere l’articolo Analisi di Sostenibilita’ dei DEBITI PUBBLICI dell’Italia, Germania, Francia, Spagna, UK, USA e Giappone
 In sintesi l’articolo spiega che non conta in se’ l’ammontare del Debito Pubblico per giudicarne l’affidabilita’ ed il rischio default, ma una moltitudine di parametri ad esso connesso o semplicemente del Paese. Sentir dire che il Paese X finira’ in Default in tempi brevi solamente perche’ ha un ampio debito, quando lo stesso paese ha una “Cassa e Liquidita’ enorme” ed un flusso di cassa positivo generato da costanti attivi della Bilancia dei Pagamenti, mi fa sorridere, francamente.

gpgdebiti Analisi del DEFAULT di uno Stato: cerchiamo di capire perche e quando accade, e cosa accade dopo. 


5) SMONTIAMO UN PO’ DI LUOGHI COMUNI

L’invito ai lettori e’ quello di usare il buon senso. Continueranno ad imbottirvi il cervello di queste robe :
  • Da 15 anni in Europa si parla di Rapporto Debito/PIL al 60% e Rapporto Deficit/PIL al 3% che dividono i buoni dai cattivi (ste robe per capirsi le ha imposte qualcuno che aveva un preciso interesse a farlo): che senso hanno tali parametri? Nessuno. Alcuni dei PIIGS sotto attacco nel 2007 erano ben sotto a tali parametri, ma sono stati attaccati, mentre altre nazioni stavano sopra, ma non le ha attaccate nessuno.
  • I debiti sono una cosa brutta, oscena“. Anche questa e’ una roba senza senso. Il Capitalismo si basa sul “credito e sul debito”. La cosa oscena non e’ il debito, senza il quale saremo ancora all’eta’ della pietra (e senza il quale non esisterebbe il credito, per capirsi). Essenziale e’ la sostenibilita’ del debito stesso, ancor piu’ del suo ammontare, e quindi la fiducia sull’emettitore.
  • Il Default e’ la FINE“. Abbiamo visto sopra che non e’ esattamente cosi’: spesso il Default e’ anche un INIZIO. Il Default e’ un evento previsto nelle regole di base del Capitalismo stesso: d’altronde se cosi’ non fosse perche’ a seconda degli emettitori vi sono interessi diversi? Il Default altro non e’ che una possibilita’, un rischio, e come tale non va letto in termini morali, ma come un evento che in particolari condizioni puo’ avvenire. 
  • Il Default va evitato in tutti i modi“.  Abbiamo visto che il periodo che precede i Default e’ quello piu’ devastante per un paese, spesso un’agonia che distrugge ampie risorse impegnate per difendere uno squilibrio non correggibile o un deflusso di capitali cui non si puo’ far fronte ne’ con la cassa disponibile, ne’ con svalutazioni, ne’ con altri strumenti. E’ preciso interesse di una nazione, agire e fare default, nel caso l’agonia sia eccessivamente lunga.
  • L’Euro o l’adozione di una valuta forte e’ una barriera contro il Default”. E’ vero esattamente il contrario. Molti default sono legati per esempio all’adozione del dollaro, o all’introduzione di cambi fissi. Queste politiche sono l’antitesi del libero mercato, perche’ introducono elementi di rigidita’ artificiali, che col tempo, in presenza di sistemi diversi, necessariamente esplodono. L’Euro stesso (perlomeno la sua introduzione nell’assetto degli ultimi 15 anni in sistemi non armonizzati) e’ un generatore di squilibri, come abbiamo visto, ed e’ esso stesso la causa di crisi. Qui spesso sentir dire “l’Italia dovrebbe fare le riforme e cosi’ potrebbe stare nell’Euro e competere con la Germania“. Ovviamente l’Italia dovrebbe fare le riforme, ma non certo col fine di Germanizzarsi o di permenere in un sistema che necessariamente esplodera’. Pensare infatti che tutti e 17 i paesi dell’Euro diventino identici alla Germania e’ una scemenza colossale, o meglio Comunismo utopico (anche per il solo fatto che non me li vedo 17 paesi tutti con bilancia dei pagamenti attiva del 6% sul PIL): e’ ovvio che ci sara’ sempre qualcuno piu’ debole, ed e’ ovvio che quest’ultimo sara’ sempre attaccato. Il sistema alle spalle dell’Euro non e’ armonizzato e quindi semplicemente avra’ sempre squilibri, e come abbiamo visto le crisi colpiscono sempre le situazioni di squilibrio, con elementi di rigidita’.

6) COME CAPIRE QUANDO REALMENTE UNA NAZIONE PUO’ FARE DEFAULT?

Quando qualche “Intelligentone” vi dice che il Paese X fara’ default entro il tempo Y, controllate queste cosette:
  • Conto corrente della Bilancia dei Pagamenti del Paese in questione (nell’ultimo anno e negli ultimi 5 anni). Se il Paese X ha bilancia dei pagamenti attiva o in equilibrio, la possibilita’ di default, e’ vicina allo zero. Il motivo e’ banale: l’economia reale, continua a far affluire denaro nel paese, ed un tale flusso e’ una difesa naturale a qualsiasi default.
  • L’andamento dei Tassi di interesse e l’ammontare della Cassa del Paese in questione. Se il Paese X ha tassi molto bassi ed una cassa notevole, la possibilita’ di default, e’ vicina allo zero. Il motivo e’ banale: i mercati ancora non vedono il rischio (ed in genere i mercati sono informati) e la nazione ha parecchie cartucce da sparare.
  • Il valore dei CDS
Se poi, il Paese X in questione vede tassi di interesse crescenti, non e’ detto che stia arrivando il Default. Per esempio nell’Eurozona, come si desume bene dall’articolo Piu’ Spritz e meno Spread larga parte dell’aumento dei Tassi di alcuni periferici e’ connesso piu’ alla possibilita’ di rottura dell’Euro, che non al default dello stato stesso.


CONCLUSIONI

Invito i lettori ad un sano pragmatismo. Non credete ai “fantasmi” e siate razionali. Il default non e’ il male, ma e’ semplicemente un evento che puo’ capitare (in certe condizioni, che abbiamo visto) e dopo il quale cambia lo scenario, non necessariamente in peggio. Ovviamente per una nazione come l’Italia, meglio cercare di evitare il default, ma ancor piu’ importante sarebbe evitare un’agonia infinita che precede il default stesso. Il nostro paese, per ridurre drasticamente il rischio default ed agonia, dovrebbe fare cose semplici e di buon senso e tornare al Libero Mercato ed a condizioni di equilibrio. Cio’ significa 3 cose per l’Italia:
- Avere come priorita’ nazionale l’avere una Bilancia dei Pagnamenti equilibrata o attiva
- Eliminare i vincoli di rigidita’ sui cambi, tornando ad una valuta nazionale, senza inserimento in sistema di cambi fissi.
- Lavorare per rendere il sistema pubblico e privato piu’ efficienti e competitivi. In sintesi fare tutte quelle cose di buon senso di cui abbiamo parlato innumerevoli volte sul fronte di spesa pubblica, tasse e riforme.


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giovedì 13 dicembre 2012

0 Più SPRITZ e meno SPREAD


Continuiamo la collaborazione con Francesco Lenzi, che ringraziamo, con questo articolo  che parla ancora di Euro e Svalutazione.
Vi segnalo che Francesco e’ un nostro Lettore, ed immagino sara’ disponibile a rispondere a domande sui commenti. A Lui, come a qualunque lettore, do’ la possibilita’ di pubblicare articoli con piacere, specialmente se fatti con criterio, ed al di la’ delle tesi esposte (basta contattarmi via mail).
Consigliamo le Lettura simultanea dei seguenti articoli:

——————————————————————
Più SPRITZ e meno SPREAD
di Francesco Lenzi

L’altro giorno stavo parlando delle solite cose di questi tempi. La crisi, la casta, la corruzione, gli sprechi ed ovviamente lo spread. Da almeno 2 anni ognuno di noi ha preso familiarità con questo spread. Dei miei carissimi amici mi hanno regalato una maglietta con la faccia del Presidente del Consiglio ed una scritta: “+ SPRITZ  – SPREAD”. La maglietta è molto carina con la faccia austera e rigorosa del professor Monti in color fluorescente. Anche la scritta è interessante e mi ha portato a pensare che se il Presidente del Consiglio si fosse dedicato a bere Spritz, invece che a curare lo spread, i risultati non sarebbero poi molto distanti da quelli che ci ritroviamo attualmente.  Mi ha fatto veramente sorridere il commento rilasciato ad una conferenza tenuta alla fine del giugno scorso: “Se il precedente governo fosse ancora in carica, ora lo spread italiano sarebbe a 1200 o qualcosa di simile
Tralasciamo il fatto che, se il precedente governo fosse stato ancora in carica, probabilmente lo spread, come lo conosciamo, neanche esisterebbe più, perché i mercati avrebbero già portato a termine il lavoro. Volevo invece focalizzare il discorso su quali siano le cause dello spread, riuscendo così anche a capire perché quella dello spread a 1200 è una sostanziale bischerata. Questo tipo di battute possono essere utili per ottenere consenso nella popolazione, e fare un po’ di terrorismo sull’uscita dalla moneta unica, ma certamente non impressionano persone che muovono decine di miliardi di euro e che valutano altre cose per decidere di investire in titoli di Stato di un certo Paese.
Per capire quali siano le cause dello spread è importante rifarsi a quanto detto dal governatore della BCE Draghi più volte (http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2012/html/sp120726.en.html).
Egli ha infatti ripetuto che i differenziali di rendimento tra i titoli dei vari Stati dell’Eurozona sono sostanzialmente determinati da tre fattori:
  1. Rischio di credito
  2. Rischio di liquidità
  3. Rischio di converitibilità
La prima componente riguarda il singolo Paese e concerne la possibilità che un Paese possa o meno ripagare interamente il suo debito alla scadenza. La seconda riguarda la liquidabilità del titolo e quindi l’eventualità che tale titolo non sia liquidabile sul mercato secondario. Il terzo fattore concerne invece il rischio che il titolo venga ripagato in una valuta diversa da quello in cui è stato emesso.  Se andiamo ad analizzare le varie componenti di rischio per il caso dell’Italia possiamo farci un’idea del perché le affermazioni di spread a 1200, 5000 o anche 10000000 siano fuori dal mondo.
Partiamo dal rischio di credito. L’Italia ha ormai da anni un avanzo primario tra i più alti al mondo. Questo significa che, prima di pagare gli interessi sul debito, le spese sostenute dallo Stato sono inferiori (e molto) rispetto alle entrate. Poi arrivano gli interessi sul consistente debito pubblico italiano. Se l’Italia avesse la possibilità di utilizzare una moneta nazionale (e non estera come quella attuale) i tassi di rendimento reali sul debito non sarebbero molti distanti da quelli internazionali. Sarebbero quindi vicini allo zero oppure negativi (così come avviene per gli USA, la Gran Bretagna ed il Giappone). La bufala del dividendo dell’euro (quella secondo cui fuori dall’euro i tassi reali sarebbero stati significativamente più alti) neanche la commento. Economisti, molto più qualificati di me, l’hanno sostanzialmente distrutta. E’ abbastanza evidente che in un sistema mondiale in cui i capitali circolano liberamente, i rendimenti reali offerti dai titoli di Stato non possono che uniformarsi. Quindi, con avanzo di bilancio delle dimensioni attuali e rendimenti reali dei titoli di Stato negativi, credo non vi siano dubbi sulla sostenibilità del debito pubblico.
Riguardo al rischio di liquidità, non c’è molto da aggiungere alle parole dello stesso Draghi. Il fatto che abbia annunciato operazioni illimitate sul mercato secondario, significa per gli operatori che la liquidità è ormai garantita dalla BCE (ovviamente se alle parole pronunciate dal Governatore seguiranno poi i fatti).
Rimane il terzo rischio ed è quello che ormai da qualche anno preoccupa gli investitori, il rischio di convertibilità.
Questo rischio si riferisce alla possibilità che un certo titolo emesso dallo Stato italiano possa essere ripagato in lire, o in fiorini, o in qualsiasi altra valuta che il nostro Stato deciderà di adottare, piuttosto che in Euro. Se andiamo a riprendere i dati sui tassi di cambio reali dei Paesi dell’eurozona (calcolati in riferimento ai 17 Stati appartenenti all’unione monetaria) vediamo che l’andamento per Italia, Francia e Germania, dall’ introduzione dell’euro, è questo

aaa1 Più SPRITZ e meno SPREAD  

Innanzitutto si nota come la dinamica dei vari tassi sia col tempo divergente e quindi l’eventuale aggiustamento da realizzarsi con una svalutazione del tasso di cambio nominale sia col tempo maggiore. Si ricava poi (sulla base dei dati forniti dalla commissione europea http://ec.europa.eu/economy_finance/db_indicators/competitiveness/data_section_en.htm) che a fine 2011 la differenza tra il nostro reer e quello tedesco era di circa il 16%. Se fosse avvenuto un crollo dell’euro prima delle vacanze, a parte il fatto di dover pagare l’ombrellone ed il bungalow in lire, avremmo tutti avuto una svalutazione della nostra moneta intorno al 15-20% (come l’esperienza del 1992 ricorda, la svalutazione sarà quella che serve a riequilibrare i differenziali di competitività, ne più ne meno). L’esistenza di un rischio di convertibilità, e quindi del rischio di vedersi ripagati in una moneta svalutata (se avvenisse adesso) del 15-20% si traduce, nel mercato, in una richiesta allo Stato Italiano di un tasso d’interesse tale da coprire questa probabile svalutazione. Per tale ragione parlare di spread citando numeri a caso non ha molto senso, perché l’andamento di questo indice è stato, nell’ultimo periodo, direttamente legato alla probabile svalutazione.
Che vi sia una certa relazione tra il rischio di convertibilità (quindi il ritorno alle valute domestiche) e il differenziale di rendimento dei titoli di Stato si può verificare anche graficamente.

aaa2 Più SPRITZ e meno SPREAD  

Questo grafico, estratto dal recente studio pubblicato dalla Banca d’Italia (http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/quest_ecofin_2/qef128/QEF_128.pdf), evidenzia come l’andamento dello spread tra BTP e Bund decennali (espresso dall’indice “10-year swap spread”) si sia allontanato dal percorso che sarebbe prevedibile sulla base dei fondamentali dell’economia nazionale (che esprimono il rischio di credito), per dirigersi verso un sentiero che è spiegabile prendendo in considerazione il rischio di un breakup dell’area Euro (rischio di convertibilità o contagio). Si può vedere inoltre che dalla fine del 2011, quasi in contemporanea con l’insediamento del governo attuale, tale indice sembra indicare  un percorso ancora diverso e più elevato. Quest’ultimo fenomeno può essere spiegato, probabilmente, dall’accentuarsi della fuga di capitali dal nostro Paese. Secondo le ultime stime, dall’inizio dell’anno, sono usciti dal nostro Paese circa 280 mld di Euro (circa il 15% del PIL). Forse qualcuno si è già messo avanti, in attesa di quello che avverrà?
I mercati, in sostanza,  sanno ormai da tempo che l’euro così com’è non può andare avanti, e stanno facendo pagare al nostro Stato (cioè a noi) il costo di questa svalutazione. Berlusconi prima, e Monti adesso, possono far ben poco rispetto a questa situazione. Come abbiamo visto nell’altro post (http://www.rischiocalcolato.it/2012/11/dal-1992-al-2012-la-storia-si-ripete-ma-non-ha-insegnato-niente-parte-2.html) il riequilibrio dei tassi di cambio reali non può che avvenire, se veramente ci fosse la volontà, dal lato tedesco.  Il fatto che il nostro Presidente del Consiglio si vanti della fiducia dei mercati e dei buoni risultati sullo spread è veramente strano. Chi vuol convincere?  I mercati, come si vede, non hanno certo cambiato idea. Proseguire sul sentiero dell’austerità non servirà certamente a calmare lo spread, ed anzi, con moltiplicatori maggiori di 1 (persino il prof. Giavazzi, consulente del governo, comincia a nutrire dubbi sugli effetti della politica di “rigore”  http://www.lavoce.info/articoli/pagina1003400.html  ) è probabile che possa ritornare più in alto, a causa di un aumento del rischio di credito (e quindi della possibilità di un default). La soluzione della crisi della eurozona spetta alla Germania, soprattutto alla Germania. Sono loro che hanno creato il problema, svalutando in maniera non coordinata il loro tasso di cambio reale, e sono loro che devono risolverlo.
Pertanto, visto che stiamo pagando ormai da due anni i costi di questa svalutazione, senza però averne i benefici (incremento delle esportazioni, abbassamento dei tassi di interesse, recupero della domanda interna, allentamento della morsa fiscale) non sarebbe il caso di farla finita qui e di mostrarci chiaramente in che modo uscire da questa trappola? Se non lo decidiamo noi, di concerto con gli altri partner europei, lo decideranno i mercati.


Commento di GPG Imperatrice:
Reputo anche questo secondo articolo di Francesco sia sostanzialmente ineccepibile. Non aggiugo altro. Non esiste altro possibile sviluppo di quello evidenziato nelle conclusione. E’ unicamente questione di tempo. E’ evidente che il valore di spread e tassi e’ legato alle aspettative di dissoluzione dell’euro e di svalutazione della Lira e dei periferici. D’altronde come altro si spiegano tassi sotto zero sui titoli tedeschi a breve, cosa del tutto irrazionale in apparenza, se non con cio’? Il bello e’, che esattamente come nel 1992, i tassi scenderanno proprio dal giorno in cui ci sara’ la svalutazione (verificare per credere), proprio perche’ l’aspettativa cade.

GPG Imperatrice
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venerdì 30 novembre 2012

0 Ho fatto il REDDITEST di Befera, che dovrebbe servire a stanare gli evasori. Disponibile la simulazione On-Line. Vi svelo i trucchi dell’ennesima bufala!


IL TEST ON LINE DEL REDDITEST

L’agenzia delle Entrate ha svelato giusto oggi il funzionamento del tanto atteso «redditest»: il software per l’auto-diagnosi della coerenza fiscale illustrato ieri alle associazioni di categoria e ai professionisti in un incontro riservato e che, da questa mattina, si può SCARICARE ON LINE DAL SITO DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE (CLICCATE SUL LINK)
Citano le istruzioni sul Sito:
ReddiTest è un software che consente ai contribuenti di valutare la coerenza tra il reddito familiare e le spese sostenute nell’anno. Per utilizzare il programma è necessario scaricare il software e inserire i dati richiesti. Le informazioni, quindi, restano sul proprio computer, senza lasciare alcuna traccia sul web. Nel ReddiTest devono essere inizialmente indicati la composizione, il reddito e il comune di residenza della famiglia, e, successivamente, le spese sostenute nell’anno, suddivise in 7 categorie: abitazione, mezzi di trasporto, assicurazioni e contributi, istruzione, tempo libero e cura della persona, altre spese significative, investimenti immobiliari e mobiliari.
E’ possibile in qualsiasi momento modificare o integrare le informazioni riportate. Il risultato e i dati inseriti possono essere salvati e stampati.

SIMULAZIONE DEL REDDITEST

Ho provato a farlo: la simulazione richiede per una persona piuttosto sveglia 30-60 minuti e non sempre e’ intuitiva. Ti fanno anche domande strambe (hai cavalli?) e domande impossibili (ammontari per determinate categorie di spesa nel 2009, che non potrebbe ricostruire esattamente neanche l’Oracolo di Delfi). Man mano che si confermano le schermate, arrivano rassicuranti messaggi che riportano la dicitura “COERENTE”.
Befera, sostiene che con nuovo redditomentro il 20% delle dichiarazioni sono incoerenti «Da una simulazione sull’intera platea delle famiglie, oltre 4,3 milioni (circa il 20%)» delle dichiarazioni dei redditi «risultano non coerenti»: «tra le diverse categorie di reddito il tasso di irregolarità é maggiore nel reddito di impresa e nel reddito di lavoro autonomo».

befera 650x250 Ho fatto il REDDITEST di Befera, che dovrebbe servire a stanare gli evasori. Disponibile la simulazione On Line. Vi svelo i trucchi dellennesima bufala!


GIUDIZIO TECNICO

Le prime schermate (Dati Nucleo Famigliare, Abitazioni, Mezzi di trasporto) sono semplici da compilare e razionali.
Poi iniziano una serie di schermate assurde (Istruzione, Assicurazioni, Tempo Libero, Spese Varie, Investimenti) che chiedono una serie di dati di dettaglio, tra l’altro divise per i componenti della famiglia. Ho fatto qualche simulazione, inserendo per esempio una cifra iperbolica spesa in GIOCHI ON LINE e mi ha detto COERENTE. Ho azzerato tutto e messo stessa cifra per ISTRUZIONE FIGLI e pure qui COERENTE. Facendo le 2 cose insieme mi da’ INCOERENTE. In estrema sintesi, al sistema non interessa per niente come spendi i soldi, ma interessa solo QUANTO SPENDI COMPLESSIVAMENTE, e confronta cio’ col REDDITO DICHIARATO (a naso il sistema dal Dichiarato calcola il Netto e considera su per giu’ questo come l’ammontare oltre il quale la sommatoria di tutte le spese certifica l’incoerenza).
La domanda che mi pongo e’ banale: NON BASTAVA CHIEDERE SEMPLICEMENTE LE SPESE COMPLESSIVE NELL’ANNO A LIVELLO FAMILIARE ? (Dato che piu’ o meno uno puo’ ricostruire) e non farti una sfilza di domande cui nessuno e’ in grado di dare il 100% di risposte esatte?

SE INCAPPATE NEL REDDITEST VI SVELO IL TRUCCO

Volete restare COERENTI?  Allora non evadete (come dice Befera). 2 consigli banali comunque per restare tranquilli:
1) Le Spese dichiarate devono essere per un ammontare complessivo pari Reddito Netto, che altro non e’ che il Reddito Dichiarato Complessivo meno l’Irpef.
2) Fatte attenzione: su alcune voci il fisco ha strumenti di verifica precisi, perche’ puo’ incrociare i dati dichiarati con banche dati (esempio: case, automobili, assicurazioni, viaggi aerei, tasse universitarie, etc), e qui e’ bene dare dati corretti al centesimo. Su altre voci, in cui lo stesso dichiarante fara’ grande fatica a segnare cifre precise, anche il Fisco avra’ enorme difficolta’ a ricostruire la veridicita’ dei dati, per cui, su tali voci, se avete dei dubbi, non largheggiate nelle stime e siate cauti.

CONCLUSIONE: IL REDDITEST E’ ALTRA BUROCRAZIA E SPESA PUBBLICA INUTILE, COSI’ CONCEPITO

Se baseranno la lotta all’evasione su uno strumento cosi’ straordinariamente complesso (ed incerto in alcune domande), non ho dubbi che nasceranno problemi a tappeto. Inoltre piu’ il sistema e’ complesso, piu’ dati bisogna procurarsi e gestire, e piu’ burocrazia e costi deve sostenere la PA.

BUONA “INCOERENZA” A TUTTI ! ! !

GPG Imperatrice
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