martedì 12 giugno 2012

0 Analisi delle cause del Debito Pubblico e della Crisi Italiana, ed i Rimedi necessari (non procastinabili).


Posto nuovamente questo articolo, del tutto attuale. Leggete in particolare l’ultima tabella, che merita!
La vera origine del nostro DEBITO PUBBLICO e le ragioni della mancata crescita e della crisi del sistema Italia.

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Se guardate quasti grafici capite tutto quanto.
- Fase 1: il Rigore – 1945-1970 - Paese in Boom economica, Debito Pubblico bassissimo, Deficit sotto controllo, basse tasse
- Fase 2: il Disastro – 1970-1993 - Il deficit piano piano inizia a crescere dopo il 1963 (data del primo GOVERNO DC-PSI ed inizio di nazionalizzazioni), ma ancor piu’ negli anni 70, in conseguenza di politiche piu’ assistenzialiste del governo (in una corsa demagogica postsessantottina tra DC, PSI e PCI), e si trascina negli anni 80. L’esplosione del Debito Pubblico e’ consegueza di Deficit pubblici altissimi, e forti “passivi primari”…. in pratica politiche assistenziali fatte a deficit. Nel contempo, esplode la pressione fiscale, ed il paese va in malora.
- Fase 3: i sacrifici inutili – 1993-2012 - nel 1991, dopo 20 anni di follie, per la prima volta l’Italia ricrea un “attivo primario”, ma permane un alto deficit in conseguenza del’pagamento di immense quantita’ di interessi. Tale effetto trascinamento porta a meta’ anni 90 il Debito al 125%….. da quel momento, grazie a forti attivi di bilancio, il debito cala, e tra alti e bassi, nel 2010 si ritrova al 119%…… 20 anni a pagare interessi creati negli anni 70 ed 80; le classi politiche sono incapaci a ridurre la spesa pubblica.

Ora date un’occhio attento a questi 2 grafici (autoesplicativi), sul confronto della SPESA PUBBLICA e della PRODUTTIVITA’ tra ITALIA e RESTO D’EUROPA, e capirete tutto quanto.

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QUI riassumo TUTTO QUANTO:

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CONCLUSIONI

 - Ridurre drasticamente la SPESA PUBBLICA (tranne quella per Investimenti)

- Ridurre notevolmente la Tassazione ( specie su chi produce, Imprese e Lavoratori, e sulle famiglie)

 - Pareggio di Bilancio e riduzione Debito Pubblico

 - Ancorare l’Italia al pareggio di bilancio (Statale e Locale) e ridurre il Debito Pubblico

 - Tornare ad una cultura basata sull’obiettivo essenziale di dare un futuro alle nuove generazioni (basata su: Parsimonia, Sobrieta’, senso del Dovere e del sacrificio, Famiglia, Onesta’, Risparmio, Investimento sul futuro, buon senso contadino, semplicita’) abbandonando il sistema valoriale italiano attuale ancorato sul vivere il presente (alla giornata), ed imperniato di valori post-sessanttottini, totalmente incapace di guardare al futuro

 - Uscire dall’Euro


 In estrema sistesi, L’ITALIA DEVE FARE SCELTE STATEGICHE ESATTAMENTE OPPOSTE A QUELLE CHE HA PERCORSO NEGLI ULTIMI 4 DECENNI. Tale invesione ad U e’ improcrastinabile.

Qui trovate le proposte di dettaglio , leggetele! Fate Scacco Matto!

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GPG  Imperatrice

0 Emigrare in Brasile? Qui alcuni consigli pratici

A seguito dell’articolo Rapporto Brasile: nuova Terra Promessa, tra Problemi ed Opportunita’ (clicca sul titolo per aprirlo) alcuni amici mi hanno contattato privatamente chiedendo lumi sul trasferimento in Brasile, per iniziare una nuova vita.
 Provo a dare qualche dritta, esprimendo le mie personalissime opinioni.

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Perche’ emigrare in Brasile?
1) L’ottimismo: qui si respire un’aria simile all’Italia degli anni 60, quelli del Boom, quelli della crescita economica. il Brasile ha vissuto una grande crescita economica negli ultimi quindici-vent’anni, la popolazione é cosciente di tutto ció e ne è orgogliosa, e cio’ ha portato tanti poveri a divenire classe media. Ovviamente i problemi sono tanti .
2) Un cultura squisita, tanti sorrisi ed ottimismo. Un italiano difficilmente e’ a disagio in Brasile. Molte le affinita’ culturali. Il popolo brasiliano, pur essendo orgoglioso, e’ aperto e caloroso. A differenza di altre parti, in Brasile gli italiani sono assolutamente benvoluti ed amati. Basterà dire che venite dall’Italia e vedrete intorno a voi solo sorrisi e pacche sulle spalle. A sud di Rio, circa il 30% della popolazione e’ di origine italiana (generalmente italiani emigrati sia dal Nord che Sud Italia tra 90 e 130 anni fa).
3) Cibo vario e di qualita’: Il cibo è molto buono e vario, perché da queste parti si sono fuse diverse tradizioni culinarie portate dagli immigrati, soprattutto portoghesi, italiani, libanesi, giapponesi e francesi. La carne brasiliana non ha niente da invidiare a quella argentina, e tutto sommato e’ migliore di quella che si mangia in Italia ed e’ a piu’ buon mercato. Nessuna difficolta’ a trovare i prodotti tipici italiani (pasta, caffe’ espresso, pizza, etc).  Notevole la frutta, varia ed abbondante, con tanti squisiti prodotti difficilmente rintracciabili in giro per il mondo (Açaí, Maracujà, Goiaba, , Caju, Graviola, Guaraná, Maracujá).
4) Le opportunita’: in un paese dinamico, le possibilita’ e le opportunita’ non mancano, specie per chi ha voglia di fare, intraprendenza, e non parte da zero.
5) Clima mite. Generalmente in Brasile ti puoi dimenticare di cosa sia l’inverno e le temperature al di sotto dei 12-15 gradi (a parte nelle regioni del sud). Ovviamente bisogna un po’ abituarsi alle abbondanti pioggie. Pero’ c’e’ poco da lamentarsi.
6) La lingua, la musica, il ballo ed idivertimenti. Il portoghese brasiliano e’ una lingua affascinante, ricchissima di vocaboli, di sfumature, modi di dire e dal suono molto piacevole e dolce, facile da apprendere ed affine all’Italiano. La musica e’ uno spettacolo, per non parlare della samba e della cultura del ballo: irresistibili! Difficile non divertirsi in Brasile: I brasiliani hanno una vera e propria cultura dello svago e del divertimento, che non lascia nessuno indifferente.
7) Paese giovane e donne bellissime e simpatiche. Che dire, da noi c’e’ una societa’ vecchia, da loro la popolazione e’ giovane, e la cosa e’ visibile. Per un single di 30-40 anni, che in Italia fatica a trovare una compagna, qui la possibilita’ di restare scapolo, sono analoghe a quelle che Alfano e Bersani dicano una cosa intelligente.

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Occhio pero’ a questi fatti
 a) Il paese presenta differenze sociali fortissime. Accanto ad una classe media operosa, c’e’ una vasta classe bassa. Inoltre esistono quartieri e zone povere, e la criminalita’ in certe zone e’ presente, specie quella comune. Il PIL procapite Brasiliano, fatto 100 quello Italiano, e’ 35 (circa 60 a San Paolo, e 15 nel Nord est). Ovviamente per le categorie di lavori umili o comuni, le differenze di salario con l’Italia sono enormi. Per lavori specialistici e medio-alti, le differenze salariali con l’Italia sono spesso nulle.
b) Il paese presenta differenze geografiche enormi. Il sud (sotto Rio) e’ l’area ricca del paese, abitata in prevalenza da bianchi, con grandi affinita’ con l’europa, e con un’efficienza sufficiente; qui c’e’ l’industria e la finanza del paese. Per chi viene in Brasile e vuole lavorare, meglio andare a San Paolo, ma anche a Rio o Porto Allegre. Il nord est, e’ povero, abitato in prevalenza da neri e mulatti, ed inadatto a chi cerca di lavorare (e’ ok, per un pensionato o chi vive di rendita, avendo un costo della vita inferiore; per chi vuole lavorare, puo’ funzionare se si cerca un’attivita’ inusuale, tipo nell’agricoltura o nel turismo, ma non in settori tradizionali).
c) La burocrazia: non pensate di trovare l’eden. Pure qui la burocrazia c’e’, e non e’ tanto migliore di quella italiana. Armatevi di santa pazienza.

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Come emigrare in Brasile?
 1) Se sei lavoratore dipendente di una società che apre una filiale in Brasile, non avrai niente da fare in quanto la società stessa si occuperà del visto
 2) Se sei un pensionato, fai trasferire la tua pensione mensile su un conto bancario brasiliano, che dovrai aprire in loco. Il minimo della pensione deve essere di 2000 dollari
 3) Il matrimonio con un brasiliano/a che automaticamente ti farà avere la residenza provvisoria che diventerà definitiva dopo un anno di matrimonio
 4) In attesa del Visto, puoi restare legalmente sul territorio brasiliano per 6 mesi l’anno (o meglio 90 giorni ogni 180) come turista. Se vuoi restare qualche mese di più, dovrai pagare una multa che aumenta in proporzione al tempo trascorso in più.
 5) Se vuoi aprire un’attivita’, devi trasferire 50 000 dollari su un conto bancario brasiliano, servendoti di una società che avrai aperto qui. Questi soldi ti serviranno poi per far marciare la società
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Consigli pratici e suggerimenti su chi pensa di emigrare
 1) Pianificate in Brasile le prossime vacanze. Non fate solo turismo, ma visitate anche Rio e San Paolo. Ovviamente in 2-3 settimane, capirete poco, ma meglio comunque dare un’occhiata. In questo periodo vivete intensamente e cercate di socializzare (la cosa non e’ affatto complessa); se siete pensionati, pianificate una lunga vacanza, ed al termine della stessa, avrete da soli le idee chiare su cosa fare. Non serve cambiare troppo denaro: in Brasile usano la carta di credito anche per prendere il caffe’.
 2) Se siete lavoratori dipendenti, e sognate di emigrare in Brasile, fate una ricerca a tappeto su internet. Date massima priorita’ alle imprese Italiane con filiali in Brasile. Contattatele, mandate CV e date disponibilita’ a trasferirvi.
 3) Se siete lavoratori indipendenti, e sognate di emigrare in Brasile, il primo passo e’ aprire li’ un’attivita’ collaterale, e poi vedere come va. Cercate opportunita’ sui siti imprenditoriali, contattate le associazioni Italo-Brasiliane, etc. Ovviamente molto dipende dall’attivita’ imprenditoriale che fate. Comunque, se siete imprenditori, essendo intraprendenti per natura, non avrete problemi, se realmente vorrete coronare il vostro sogno
 4) I primi passi: se potete cercate di avvicinarvi alla lingua Portoghese, collegatevi ai canali TV brasiliani, leggete sul paese ed informatevi, andate in qualche ristorante Brasiliano, e se potete cercate di avere contatti con qualche associazione Brasiliana o Italo-Brasiliana o scuola di Samba. In alcune citta’ del Nord Italia esistono comunita’ Brasiliane.
 5) I passi successivi: ovviamente, se ritenete la decisione di emigrare senza ritorno, iniziate a verificare come aprire un conto in Brasile, come trasferire i soldi (tutte cose non complesse), e come fare con i contributi pensionistici.


Personalmente direi che ogni persona ha una casistica tutta sua. Ovviamente suggerisco l’emigrazione, a coloro che vogliono cercare un nuovo inizio ed a coloro, per esempio, che sono scapoloni senza speranze in Italia: per queste categorie di persone il Brasile e’ perfetto. Per altre categorie (giovani, pensionati, famiglie) consiglio maggiore cautela, ed una valutazione caso per caso.


GPG Imperatrice
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0 Rapporto Brasile: nuova Terra Promessa, tra Problemi ed Opportunita’


BRAZIL Rapporto Brasile: nuova Terra Promessa, tra Problemi ed Opportunita


1 – BRASILE: UN GIGANTE, TIGRE TRA I BRIC O SEMPLICEMENTE PAESE FORTUNATO IN VIA DI SVILUPPO?
Il boom economico brasiliano continua a dare i suoi frutti e, dopo avere superato l’Italia a fine 2010 ora il sorpasso è su Londra. Il Paese del samba ha il sesto Pil maggiore al mondo, con la Francia nel mirino.
Di questi tempi, questo paese, che ha una dimensioni pari quasi all’intero continente Europeo, e quasi 200 milioni di abitanti, e’ stato spesso citato come una delle tigri del BRIC, come una nazione in progressione, destinata nel lungo periodo a diventare protagonista mondiale, con Cina ed India, soppiantando le vecchie e suicide economie declinanti europee.
Ma c’e’ anche chi pensa il Brasile sia in realta’ un Fake economico, graziato dal boom dei prezzi delle materie prime ed alimentari che costituiscono 2/3 dell’export, ed in preda ad una bolla immobiliare analoga a quella che s’e’ vista scoppiare in vari paesi, e che in presenza un domani di una crisi mondiale con crollo della domanda di materie prime, e simultaneo crollo immobiliare, il Brasile verra’ giu’ come una pera.
Fatto sta che il paese resta da un lato un mix formidabile tra benessere e poverta’, con favelas vicine a quartieri borghesi che convivono nelle megalopoli di San Paolo e Rio, con vaste classi medie ed enormi quantita’ di poveri e poverissimi, con un Nord Est povero abitato prevalentemente da meticci e neri contrapposto al Centro-Sud benestante prevalentemente abitato da bianchi di origine Portoghese, Italiana e Tedesca.

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(San Paolo, megalopoli con area urbana di 20 milioni di abitanti)


2 – A COSA SI DEVE QUESTO BOOM DEL PAESE?
Sul fatto che il Paese del samba stia vivendo dal punto di vista economico il miglior periodo della sua storia nessuno sembra nutrire dubbi. E questo nonostante la crisi internazionale da cui sembra essere non solo “al sicuro” ma, anzi, tra i pochi Stati al mondo che ne sta traendo notevoli “vantaggi comparati”.
Per rendersene conto, del resto, è sufficiente leggere i principali giornali economici anglosassoni, dal Financial Times, a The Economist, passando per il Wall Street Journal e Forbes che, quasi quotidianamente, confermano il buon momento del gigante sudamericano sfornando numeri macro sempre più sorprendenti.
Dalla crescita del 7,5% nel 2010 alla disoccupazione ai minimi storici, passando per un avanzo commerciale record di 22,5 miliardi di dollari dal primo gennaio 2011, il Brasile è quindi sempre più elogiato dalla stampa “che conta”.
Come se non bastasse sia la Coppa del Mondo di calcio del 2014 che le Olimpiadi di Rio del 2016 sembra abbiano trasformato il Paese dalla patria ideale per gli investimenti speculativi “mordi e fuggi” a un’opportunità di medio-lungo periodo da non perdere.
Tutti sembrano volere investire in Brasile, che dall’agosto 2010 è addirittura diventato un creditore netto del FMI e che ha una serie di imprese a partecipazione statale che si stanno rapidamente espandendo nel resto del mondo. Ma cosa c’è dietro il miracolo brasiliano?
In primis un mix dosato di politiche monetarie e fiscali anticicliche volte all’inclusione sociale delle classi più povere, tradizionalmente escluse dal circuito dei consumi e dall’accesso al credito.
Un altro esempio: mentre negli Usa il rapporto riserve-depositi bancari oscilla tra il 3 e il 10 % e in Cina è del 15%, in Brasile era, fino al periodo pre-crisi, del 45%. E’ stato sufficiente dunque alla Banca Centrale abbassare la percentuale al 42% affinché si liberassero 69 miliardi di dollari di crediti in funzione anticiclica.
Anche per questo il Pil verde-oro nel 2010 è cresciuto del 7,5% e, nonostante la crisi mondiale, il 2011 che si sta per chiudere vedrà una crescita brasiliana almeno del 3%, mentre l’Italia è ufficialmente in recessione.

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(Rio de Janeiro)


3 – RAPPORTO SUL 2012-2014 DI SANTANDER SULL’ECONOMIA BRASILE

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Internazionale: Le turbolenze degli ultimi mesi dovrebbe continuare in gran parte del 2012, principalmente a causa dei dubbi circa la solvibilità di alcuni paesi europei ed ai rischi di crisi sistemica. Il deleveraging del consumatore americano, gli effetti negativi sulla crescita europea proveniente dalle incertezze e il pacchetto di risanamento dei conti pubblici e l’indebolimento delle esportazioni cinesi verso queste regioni dovrebbe portare ad una moderazione della crescita mondiale.

Attività economica: La crisi internazionale esercita i suoi effetti sul Brasile in molti modi, ma forse le più importanti sono la riduzione della domanda per i prodotti esportati dal Brasile e attraverso il canale di fiducia (abbassando le aspettative degli imprenditori, limita anche il tasso di investimenti e nuovi assunti). L’effetto somma dell’effetto ritardato del cicli successivi di stretta monetaria, tra aprile 2010 e luglio 2011, con conseguente sensazione di rallentamento dell’economia brasiliana. Questa perdita di fiato, però, tende ad essere temporanea, dal secondo trimestre del 2012, l’economia tende a crescere con più forza, riflettendo i recenti tagli dei tassi di interesse e lo stimolo al consumo dato dall’aumento del salario minimo nel mese di gennaio. Occupazione e credito dovrebbe continuare a salire, anche se ad un ritmo più lento rispetto agli ultimi anni.

Inflazione: Il quadro internazionale suggerisce di disinflazione, soprattutto a causa del calo dei prezzi internazionali delle materie prime. Ma internamente, lo spazio per il calo dell’inflazione è limitato: da un lato, perché la domanda continua ad espandersi, e da un altro perché i guadagni di reddito risentono dell’aumento del prezzi dei servizi. Tuttavia, è anche essenziale prendere in considerazione lo shock negativo di prezzi amministrati. Come risultato, l’inflazione 2012 in calo ma sopra il centro del bersaglio.

Tassi di interesse: il Selic, è attualmente a un livello del 9,0% all’anno. La Banca Centrale dovrebbe promuovere ulteriori tagli (a un ritmo più lento), portando il tasso di interesse di riferimento al 8,25%, livello deve essere mantenuto fino alla fine del 2012. Il quadro turbolento internazionale dovrebbe mantenere l’elevata volatilità sul mercato dei cambi, con il tasso che possono presentare fluttuazioni significative intorno al livello sui 1.95 Reai per USD a fine 2012.

Bilancia dei pagamenti: La crisi internazionale peserà sui prezzi e le quantità esportate di alcuni dei principali prodotti brasiliani, portando ad una riduzione del surplus commerciale e un ampliamento del disavanzo delle partite correnti. Tuttavia, è improbabile che questo rappresenti un problema per il Brasile nel 2012, grazie al continuo accesso al credito estero (anche durante la crisi) e ingombranti riserve internazionali.

Politica fiscale: Il rallentamento economico all’inizio di quest’anno e le pressioni sulla spesa pubblica (soprattutto a causa del sostanziale aumento del salario minimo e il programma degli investimenti pubblici) può portare al governo a richiedere un aumento delle imposte per raggiungere l’obiettivo primario avanzo. Il debito pubblico dovrebbe essere ulteriormente ridotto, beneficiare l’avanzo primario, caduta dei tassi di interesse reali e ridurre la vulnerabilità al tasso di cambio.
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4 – GIGANTE AGRICOLO O AMBIENTALE?

Il Brasile si presenta oggi sulla scena internazionale come una delle potenze economiche emergenti, principalmente come esportatore di materie prime derivate dall’agricoltura e dall’allevamento, attività che da almeno una ventina d’anni hanno raggiunto elevatissimi livelli di produzione. D’altra parte è progressivamente aumentata la percezione del valore, anche economico, del patrimonio naturale contenuto in questo paese dalle dimensioni continentali, in particolare riguardo a beni strategici per il futuro della terra come l’acqua dolce, la copertura forestale e la biodiversità.
La grandiosità della ricchezza socioambientale del Brasile è notoria: è il primo tra i paesi del pianeta come ricchezza vegetale; ospita ecosistemi unici per complessità ed estensione, che contribuiscono per ben il 28% al patrimonio delle foreste primarie mondiali e a un terzo di quelle tropicali; contiene più del 20% del flusso superficiale di acqua dolce. L’Amazzonia, “polmone verde del pianeta”, svolge un ruolo essenziale per la stabilità ambientale e climatica del Sud America e di tutto il mondo, immettendo nell’atmosfera settemila miliardi di tonnellate d’acqua all’anno e immagazzinando enormi quantità di CO2, circa il 10% del totale ritirato dagli ecosistemi terrestri.
L’interazione dell’uomo col territorio brasiliano ha tuttavia dato luogo anche a primati assai meno lusinghieri: tassi elevatissimi di disuguaglianza sociale, di povertà rurale e urbana, innumerevoli crimini violenti legati alla terra, migliaia di lavoratori ridotti in condizioni di lavoro schiavo e problemi ambientali noti in tutto il mondo, principalmente quando si parla di deforestazione.
Le enormi potenzialità di questo gigante sudamericano sono state storicamente inibite da uno sviluppo economico disomogeneo e scostante, da una fragilità strutturale che almeno fino alla fine degli anni ’90 si è manifestata sotto forma di un enorme debito estero, gravi problemi di disoccupazione, elevati tassi di inflazione e di povertà.
Una serie di misure adottate da Cardoso, e poi nel corso dei due governi Lula (2002-2010) ha portato notevoli successi in termini di rilancio dell’economia nazionale e di fiducia dei mercati internazionali, raggiungendo risultati storici come l’azzeramento del debito estero, il controllo dell’inflazione, forti tassi di crescita e una maggior apertura ai mercati mondiali. Le ragioni di questo “miracolo economico” sono, tra le altre, da ricercare nel boom mondiale dei prezzi delle commodities da esportazione (la soia e la carne bovina), nell’espansione di nuovi mercati, in primis quello cinese (che per importazioni dal paese sudamericano nel 2009 ha scavalcato quello statunitense) e nelle possibilità offerte da settori incipienti nel mercato globale come quello degli agrocombustibili e dei servizi ambientali.

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La storia del Brasile è sempre stata marcata da cicli economici fortemente legati allo sfruttamento del suolo e delle risorse naturali. Agricoltura e allevamento in particolare sono perni centrali dell’economia brasiliana sin dai tempi coloniali e oggi questo paese si presenta sui mercati internazionali soprattutto come una superpotenza del settore agroindustriale, che contribuisce a circa un terzo del PIL, al 40% delle esportazioni e al 30% degli impieghi (AAVV, 2007). Zucchero, etanolo, tabacco, soia, miglio, mandioca, agrumi, caffé, cacao, fagioli, carne bovina, sono alcuni dei prodotti di cui il Brasile è tra i primi esportatori mondiali.
Nell’ultimo quarto di secolo il Brasile è stato un assiduo frequentatore della lista nera dei peggiori criminali ambientali del pianeta, ma è stato anche uno degli interlocutori internazionali di primo piano nelle discussioni riguardo allo stato del pianeta terra, imprescindibile quando si parla di foreste. Come pochi paesi al mondo infatti ha le caratteristiche per presentarsi come un laboratorio avanzato di ricerca scientifica e di sperimentazione politico-economica riguardo alle questioni ambientali (Duarte, 2003).
Quindi potenza agricola o ambientale? Per il momento prevale ancora la prima ed è difficile prevedere quando la seconda potrà realizzarsi compiutamente, soprattutto dopo la recentissima (25 Aprile 2012) approvazione del nuovo Codice forestale che di fatto riduce le aree protette e concede un’amnistia a chi ha abbattuto illegalmente grandi aree di foresta fino al luglio del 2008.
La possibilità di includere in modo strutturale i cosiddetti servizi ambientali nelle negoziazioni commerciali e negli accordi internazionali (tra i più citati oggi c’è la capacità della foresta di immagazzinare CO2, ma ce ne sono molti altri) sarà forse il passo decisivo perchè foreste, savane, e aree paludose non siano più considerati terreni improduttivi da colonizzare senza limiti, ma luoghi unici di produzione dell’insostituibile ricchezza del paese. Il Brasile insomma si configura ancora come una frontiera molto problematica anche se non mancano segnali incoraggianti nella società civile riguardo alla sua capacità di contenere l’indole predatoria che da sempre caratterizza l’homo economicus.

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5 – BOOM DI IMMIGRATI DA EUROPA E STATI UNITI: LA TERRA DELLE OPPORTUNITA’
In un mondo che finanziariamente sembra andarsene in pezzi, il Brasile – grazie al suo PIL galoppante si è trasformato negli ultimi mesi in una calamita potente che attrae un nuovo, fortissimo flusso di immigrazione, aumentato nell’ultimo anno addirittura del 52%. In pole position tra questi nuovi migranti, tuttavia, la parte del leone non la fanno, come in Italia, africani e asiatici bensì giovani provenienti dalla vecchia Europa e dagli Stati Uniti, due ex aree ricche del mondo alla ricerca oramai, soprattuto tra le nuove generazioni, di salari e possibilità di crescita oramai “introvabili” in patria. In testa alle graduatorie dei neoimmigrati in Brasile, in testa ci sono gli statunitensi seguiti a ruota dai portoghesi (328 mila). Poi, a ruota arrivano i boliviani (50 mila) e gli argentini (42 mila), anch’essi attratti dall’eldorado brasiliano e alla ricerca di una vita migliore.
Non mancano ovviamente gli italiani. Tante le imprese del nostro paese presenti in Brasile, con una crescita netta del 10% registrata nell’ultimo anno secondo i dati forniti dalla Camera di commercio italiana di San Paolo. In totale quasi un milione e mezzo di immigrati legali, circa lo 0,8 dell’intera popolazione brasiliana, cui si aggiungono i clandestini che secondo le autorità doganali superano le 600mila unità.
Molti di coloro che emigrano dall’Europa, lo fanno perche’ il Brasile ha forte carenza di figure professionali medio-alte specialistiche, offre opportunita’, ha un ambiente sociale e climatico familiare ed amico e perche’ in Europa non c’è liquidità né prospettive sostenibili“.
Tra le concause del Boom, si citano alcune riforme introdotte da Cardoso (e confermate da Lula), una buona doze di protezionismo, disponibilita’ umane infinite di forza lavoro giovane, una certa stabilita’ politica (a differenza di molti vicini in America Latina).

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6 – IL RISCHIO CHE FINISCA LA PROSPERITA E LA CRESCITA
Andiamo a vedere i rischi di fine della “cuccagna”.
In questi anni, a trainare la crescita economica sono stati infatti principalmente i consumi della nuova classe media brasiliana. E´ la cosiddetta classe C che ogni anno vede l´ingresso di nuove masse di cittadini: solo nel 2011 sono stati 2,7 milioni. E per la prima volta la classe media ha raggiunto il 54% della popolazione complessiva, circa 103 milioni di persone. Si tratta di decine di milioni di famiglie con un reddito mensile medio di 1.450 reais, circa 603 euro, una cifra molto spesso insufficiente per condurre una vita dignitosa, ma abbastanza per spingere i consumi. Che tuttavia potrebbero subire una battuta d´arresto visto che le famiglie brasiliane sono sempre più indebitate.
Il timore di molti analisti è che quando la spinta fornita dai consumi si esaurirà, l´economia possa frenare bruscamente. Per uno sviluppo di lungo periodo è infatti necessaria un´industria che possa generare reddito e posti di lavoro. Eppure i dati degli ultimi mesi indicano che il contributo dell´industria al Prodotto interno lordo è in lento ma costante calo.
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Varie sono le cause.
L’industria non cresce e aumenta la preoccupazione tra economisti ed imprenditori sul futuro dell´economia verdeoro. Perché se è vero che negli ultimi anni il Brasile ha vissuto un vero e proprio boom economico, sono invece molte le incertezze sullo sviluppo industriale a medio termine.
apprezzamento del real è uno dei fattori più rilevanti, al quale vanno aggiunti l´elevata imposizione fiscale e il costo del lavoro in continuo aumento. Grazie ad una moneta forte, il potere d´acquisto dei brasiliani è salito, così come sono aumentate le importazioni. Di pari passo sono cresciuti, come detto, anche i consumi grazie al miglioramento dei salari, che tuttavia hanno subito un incremento proporzionalmente maggiore rispetto alla produttività. Oltre alla manodopera, ad incidere sui costi è anche l´elevato prezzo dell´energia elettrica: il Brasile è il terzo Paese più caro al mondo.
Anche la carenza di infrastrutture (autostrade insufficienti, trasporto su rotaia praticamente inesistente, porti e aeroporti sovraccarichi) rende ancora più difficile l´espansione industriale. Un capitolo a parte infine lo meritano le tasse. Gli imprenditori sono sul piede di guerra e chiedono al governo sgravi fiscali e misure di incentivo, anche perché i soldi pubblici sono spesso male amministrati e non vengono investiti dove servirebbe, alimentando così il circolo vizioso: infrastrutture carenti costringono l´industria a procedere con il freno a mano tirato.
La presidente Dilma Rousseff si è impegnata di recente, a prendere tutte le misure necessarie per difendere l´industria nazionale: “Dobbiamo abbassare le tasse e le abbasseremo” ha affermato la Rousseff che poi ha garantito maggiori investimenti statali e si è detta pronta a prendere tutte le contromisure per fermare “l´ondata di liquidità” internazionale. La presidente nega, ma nuove misure protezionistiche potrebbero essere in arrivo.
Come gia’ detto resta estremamente pericoloso l’eventuale crollo dei prezzi delle materie prime e dell’alimentare, che potrebbe avvenire in caso di crisi mondiale, causando un ridimensionamento delle esportazioni, ed innescando la fine della bolla immobiliare.

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CONCLUSIONI
Vivendo da diversi mesi a San Paolo, in Brasile, penso che questo paese sia realmente una grande nazione.
Non credo troppo alle tesi catastrofiste, e credo che il Brasile continuera’ a crescere nei prossimi anni, anche se non necessariamente a ritmi cinesi. In fondo questo paese e’ molto giovane ed e’ ancora molto dietro come ricchezza alle nazioni occidentali (ha un PIL procapite pari a circa il 30-35% di quello Europeo).
Sono verissime tutte le cause di rischio sopra esposte, ma nessuna di queste e’ in grado nel breve e medio periodo di mandare il Brasile a gambe all’aria, a mio avviso.
Ovviamente la crescita non sara’ eterna, ed il paese, rischia tra qualche lustro di ritrovarsi con una serie di problemi da affrontare, simili a quelli che vive oggi l’Europa o gli USA.
Comunque…. finche’ la barca va, tu lasciala andare!

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0 LA PRODUZIONE INDUSTRIALE IN EUROPA DAL 1992 AL 2011 – L’EURO HA PERMESSO UN TRASFERIMENTO COLOSSALE DI PRODUZIONE (E BENESSERE) DALL’EUROPA PERIFERICA ALLA GERMANIA


Torniamo a parlare di EURO.


CAP. 1 – ANALISI DEGLI INDICATORI ECONOMICI NEGLI ANNI 2000: COS’HA COMPORTATO L’EURO IN EUROPA?
 Riporto l’articolo che feci sul tema, che vi invite a rileggere, indicatore per indicatore, USCIRE DALL’EURO? DATI PER RAGIONARCI SOPRA (prima comunque di farci ragionare… stamperanno!)  (clicca sul titolo per aprire)


Riporto qui le CONCLUSIONI dell’analisi:
La mancata attuazione di quanto sopra evidenziato (riforme, riduzione salari, controllo inflazione, taglio spese) non potra’ che prolungare la sottoperformance economica e delle finanze nei vari paesi europei (Germania esclusa).  Durante questo periodo di transizione in cui le nazioni incorreranno nella sgradevole medicina dell’austerità (dopo anni di vivere al di là delle loro possibilità) un supporto finanziario temporaneo sarà necessario.
La BCE continuerà a tassi sempre più bassi, proseguira’ con l’acquisto di obbligazioni sovrane delle nazioni della zona euro in difficoltà, ed a fornire liquidità alle istituzioni finanziarie per facilitare il loro deleveraging e di ricapitalizzazione. Essa può impegnarsi in un programma di quantitative easing. La  Germania (e le nazioni sopra-performanti) procederanno alla fin fine a sovvenzionare le nazioni più deboli.
In ultima analisi, la zona euro dovra’ muoversi concretamente verso un’unione fiscale che fornira’ un meccanismo alternativo di regolazione, con un maggiore coordinamento normativo.
Ci sono, tuttavia, i limiti alle risorse che le nazioni benestanti saranno disposte a trasferire alle nazioni in difficoltà, in particolare senza garanzia delle necessarie riforme economiche. In definitiva, la riforma da raggiungere è nelle mani delle singole nazioni. La mia impressione è maggior parte delle nazioni europee finiranno per compiere passi significativi che li muovono verso percorsi sostenibili, ma sarà una strada accidentata.

Inoltre, le varie nazioni, stanno perdendo tantissimo tempo, e cio’ aggrava terribilmente il problema ed i costi della soluzione.
 Ovviamente esiste un punto di non ritorno, oltre il quale, le future mosse che dovrebbero essere prese (in ordine: QE, Eurobond, Disciplica fiscal commune, unione politica europea reale), diventeranno inutili, perche’ il costo complessivo diventerebbe eccedente ai benefici dell’implementazione dell’azione (che quindi avra’ solo effetti temporanei).



CAP. 2 – LA PRODUZIONE INDUSTRIALE IN EUROPA DAL 1992 AL 2011 – L’EURO HA PERMESSO UN TRASFERIMENTO COLOSSALE DI PRODUZIONE (E BENESSERE) DALL’EUROPA PERIFERICA ALLA GERMANIA


Riprendo alcune analisi di Merijn Knibbe e le personalizzo per il lettori di Rischio Calcolato.

E ‘spesso affermato che la Germania e’ sovra-competitiva rispetto al resto d’Europa, per la produzione industriale (e quindi su tutto il resto: PIL, occupazione, conti pubblici, bilancia pagamenti, etc), che è uno dei motivi per cui la Germania sta facendo molto bene, mentre questi altri non lo sono. C’è qualche verità in questa storia? Guardiamo se produzione industriale tedesca ha fatto meglio di produzione in altri paesi dell’UE. Per fare questo, il primo grafico mostra produzione industriale tedesca dopo il 1992 (manifatturiero, minerario, energetico). Gli altri grafici mostrano la produzione industriale negli altri paesi della UE (con oltre 1 milione di abitanti) rispetto alla Germania, se possibile, a partire dal 1992. Tutti i dati: Eurostat.
I risultati principali:
1. Fino a circa 2003, tutti gli altri paesi ha fatto almeno altrettanto bene o (nella maggior parte dei casi), meglio di Germania. Dopo il 2003, un bel alcuni paesi ha fatto peggio. Dopo il 2009, quasi tutti i paesi ha fatto peggio o, nel caso di alcuni paesi a bassi salari come la Polonia e la Turchia, circa così come in Germania.
2. Il Regno Unito e la Francia hanno, a lungo andare, fatto peggio della Germania; la Grecia o in Italia mostrano un declino molto profondo. Il fatto che il Regno Unito e la Francia non hanno gli stessi problemi di Spagna, Grecia e l’Irlanda dimostra che la competitività è solo sul lato della storia.
3. Bolle immobiliari sembrano aver spiazzato la produzione industriale in un bel alcuni paesi (Danimarca, Paesi Bassi, Stati baltici, Irlanda, Spagna), prima deviando denaro e risorse per la costruzione e poi con la crisi dei debiti facendo sparire parte della produzione.

Grafico 1. Germania. Sembra che la Germania fosse la vittima dell’unificazione, che ha portato alla sfortunata decisione del cambiamento del ‘EINZ zu EINZ’ di soldi DDR in Marchi tedeschi, che era una rivalutazione di circa il 400% per un paese a brandelli che ha portato a decenni di svalutazione interna. Ricordiamo ai lettori che la ex-DDR ha a tutt’oggi dati macro-economici estremamente meno delici dell’Ovest.
Teniamo anche presente che un eventuale aumento della produzione deve essere stato causato dalle esportazioni, visto che la popolazione tedesca è diminuita un po ‘, mentre le vendite al dettaglio hanno avuto andamenti piatti tra il 1992 e il 2012.

 pro2 LA PRODUZIONE INDUSTRIALE IN EUROPA DAL 1992 AL 2011 – L’EURO HA PERMESSO UN TRASFERIMENTO COLOSSALE DI PRODUZIONE (E BENESSERE) DALL’EUROPA PERIFERICA ALLA GERMANIA


Grafico 2. “Periferia”. L’elefante nella stanza è il Regno Unito, che nell’Euro non e’. Come notate fanno tutti male (molto male) e vanno tutti nella stessa direzione. Questo grafico è relative alla produzione.
Si noti che dal 2003 al 2008 le vendite al dettaglio nel Regno Unito e in Francia sono aumentate, e cio’ indica che cio’ ha alimentato le produzioni tedesche a scapito delle nazionali.

pro1 LA PRODUZIONE INDUSTRIALE IN EUROPA DAL 1992 AL 2011 – L’EURO HA PERMESSO UN TRASFERIMENTO COLOSSALE DI PRODUZIONE (E BENESSERE) DALL’EUROPA PERIFERICA ALLA GERMANIA

Grafico 3. ‘Grande Germania’. La Germania ha perseguito una politica di negoziato a livello centrale di ‘moderazione salariale’, non solo composto da aumenti salariali bassi, ma anche di controllo degli affitti e simili. L’esempio Tedesco e’ stato seguito da alcuni paesi piu’ piccolo attigui. Nonostante ciò, e nonostante una svalutazione in Svezia, tutti perso terreno dopo il 2009, anche a dispetto di un successo evidente di alcune imprese ad alta tecnologia, come ASML nei Paesi Bassi. Unica eccezione il Belgio, apparentemente inspiegabile (mi verrebbe da pensare che l’assenza di un governo per 18 mesi o giù di lì faccia decisamente bene).

pro3 LA PRODUZIONE INDUSTRIALE IN EUROPA DAL 1992 AL 2011 – L’EURO HA PERMESSO UN TRASFERIMENTO COLOSSALE DI PRODUZIONE (E BENESSERE) DALL’EUROPA PERIFERICA ALLA GERMANIA

Grafico 4. Paesi neo-liberali. Sono nazioni fortemente flessibili e deregolamentate, cosa che ha attirato  capitali da tutti gli altri mercati, specie nell’immobiliare, causando distorsioni nei prezzi. Dopo il 2005, l’industria ha fatto circa così come in Germania ma peggio rispetto ai paesi che non hanno tali afflussi di capitale (il vantaggio iniziale, in sintesi s’e’ trasformato in un limite)

pro4 LA PRODUZIONE INDUSTRIALE IN EUROPA DAL 1992 AL 2011 – L’EURO HA PERMESSO UN TRASFERIMENTO COLOSSALE DI PRODUZIONE (E BENESSERE) DALL’EUROPA PERIFERICA ALLA GERMANIA

Grafico 5. Europa Emergente. Questi paesi dovrebbero avere regole e leggi nettamente meno efficienti rispetto a quelle precedenti, ma hanno moneta propria fluttuante.

 pro5 LA PRODUZIONE INDUSTRIALE IN EUROPA DAL 1992 AL 2011 – L’EURO HA PERMESSO UN TRASFERIMENTO COLOSSALE DI PRODUZIONE (E BENESSERE) DALL’EUROPA PERIFERICA ALLA GERMANIA


Conclusioni:

Appare evidente che in larga parte dell’Europa e’ in atto una formidabile de-industrializzazione a favore della Germania.
Appare altrettanto evidente che la chiave principale di cio’ sta nel fatto che la Germania ha “ingabbiato” i concorrenti piu’ temibili e prossimi in un sistema a moneta unica (o cambi praticamente fissi), fagocitando fette enormi della loro industria, grazie ad un sistema intrinseco che favorisce la moderazione salariale e la competitivita’ del costo del lavoro. 
La Germania, per favorire il processo ha anche utilizzato una debolezza (la Germania Est) trasformandola in una forza, per sostenere il processo. Larga parte dei paesi periferici hanno sistemi piu’ inflazionistici (anche per motivazioni storiche, nonche’ per le strutture intrinseche delle loro economie) e non dispongono di una politica salariale e di contenimento del costo del lavoro efficace come quella tedesca, che tra l’altro, sono fattori che non s’inventano dall’oggi al domani. La Germania inoltre, dispone di un sistema Stato decisamente piu’ efficiente (servizi, infrastrutture, etc) ed ha anche perseguito politiche favorevoli al mondo delle imprese e del lavoro (politiche che non hanno effetti in tempi stretti, ma nel corso di lustri). La Germania ha anche sfruttato le “debolezze” intrinseche delle varie nazioni “ingabbiate”, e da queste ne ha tratto immense vantaggi in termini di maggiori esportazioni e quindi produzione: parliamo delle bolle immobiliari (in parecchi paesi, Spagna in primis, ma non solo), parliamo delle politiche espansive e di sostemimento dei consumi (in particolare nelle nazioni orientate ai servizi, come Francia e UK).
Guardando al Confronto Italia-Germania, fatta 100 la Produzione Industriale Tedesca, si nota una progressione formidabile di quella Italiana tra il 1992 ed il 1995 (passando da 105 a quasi 120), che poi sono gli anni della svalutazione. In quegli anni, la produzione industriale tedesca ne risenti’, e la cosa e’ evidente dai grafici 1 e 2. A partire dal 1995, la Lira fu ingabbiata in un sistema di cambi fissi, ad un valore di 990 lire per Marco, inferiore ai circa 1100 raggiunti poco dopo l’inizio della svalutazione. Da questo momento inizio’ un progressive declino industriale Italiano (percepibile non solo dal grafico 2 sulla produzione industriale, ma anche da ogni altro indicatore economico, quale bilancia dei pagamenti e commerciale, nonche’ PIL ed occupazione). La perdita di peso e competitivita’ e’ stato progressivo e crescente, e nel 2005 l’Italia arrivo’ a 100 (in sintesi ad inizio 2000, gli effetti della svalutazione dei primi anni 90 erano svaniti), e poi e’ sprofondata ad 80 nel 2011 (accompagnata da tutta l’Europa periferica). In sintesi, dal 1995 al 2011 l’Italia e’ passata da 120 ad 80, perdendo in termini relativi, nel confronto con la Germania, oltre il 30% di produzione industriale. Non lo chiamerei declino industriale, lo chiamerei “sterminio” industriale.
Il fenomeno si autoalimenta, perche’ nel tempo crescono e si autoalimentano tutti I fattori che favoriscono questo processo.
Appare evidente anche ad un cieco, guardano il grafico 2, che la tendenza prevedibile ed inerziale, per l’Italia e tutta l’Europa periferica, per I prossimi anni, e’ un’ulteriore perdita di industria verso la Germania ed il completamento della trasformazione di larga parte dell’Europa in mercati di consumo periferici dell’industria tedesca. Ovviamente non ne faccio una colpa ai Tedeschi (che fanno i fatti loro), ma a noi stessi, che per accedere ad uno STATUS, l’EURO, ci stiamo suicidando, e siamo a buon punto.
L’EURO e’ per l’Italia una formidabile macchina di depressione ed impoverimento del Paese. Le aree Italiane che hanno perso maggiormente nei confronti della Germania, sono proprio le aree piu’ efficienti del paese, quelle del Centro-Nord Italia.
E’ Giusto? E’ Sbagliato? Potevamo in questi 15 anni ristrutturarci? Potevamo in questi 15 anni fare meglio? Tutte domande interessanti, ma alla fine poco importanti, visto che siamo arrivati a questo punto e che il processo, come abbiamo visto, e’ continentale. L’uscita dall’Euro direi che dal mio punto di vista non e’ il male minore, ma e’ mera questione di sopravvivenza, di mantenimento di un’industria nazionale (gia’ fortemente ridimensionata) e quindi di mantenimento di un minimo di dignita’ e speranza per il futuro, al pari delle riforme e delle misure per ridurre sprechi e lussi ed agevolare le classi produttive e lavoratrici, di cui abbiamo scritto ampiamente.


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0 Anno 2060: Ritorno al Futuro! Previsione sulle tendenze e cambiamenti geopolitici mondiali

Faccio il RELOAD di questo articolo che postai circa 1 anno fa qui su Rischio Calcolato, visto che lo considero ancora del tutto attuale. Buona lettura.

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Vorrei fare 2 premesse:
a) C’e’ una correlazione tra andamento demografico e forza economica complessiva di un paese o di un continente; tale correlazione, si estende con un certo ritardo anche alla forza politica
b) In un mondo globalizzato, abbiamo visto che le differenze (nella produzione e nel PIL) tra paesi vengono progressivamente smussate; sono processi lunghi, ma inesorabili, che negli ultimi 20 anni hanno subito evidenti accelerazioni

Facciamo ora 3 fotografie:
A) Anno 1900: il Mondo aveva 1,65 miliardi di abitanti, e ben 410 milioni vivevano in Europa (25%) che infatti era il Centro Politico ed Economico planetario; in Asia 950 (57%), Africa 130 (8%), ed il resto nelle Americhe ed Oceania (piuttosto spopolate)
B) Anno 2010: il Mondo ha 7 miliardi di abitanti, e l’Europa e’ crollata a pesare per solo il 10,5% (740 mln), le Americhe e l’Oceania sono lievitati a quasi il 14,5% (1 mld), l’Africa e’ sul 13% (950 mln), e l’Asia sul 62% (4,3 mld)
C) Anno 2060: il Mondo avra’ sui 9 miliardi di abitanti, e l’Europa e’ crollata a al 7% (620 mln) nonostante l’immigrazione, le Americhe e l’Oceania sono al 13,5% (1,25 mld), l’Africa e’ sul 22% (2 mld), e l’Asia sul 57% (5,1 mld)


6 istantanee sul Mondo:

676px World population UN svg 338x300 Anno 2060: Ritorno al Futuro! Previsione sulle tendenze e cambiamenti geopolitici mondiali

1)   1900-1945 – L’ultimo periodo di Egemonia Europea: L’europa era il centro del mondo 100 anni fa per una serie di ragioni storiche; le 2 guerre (ma anche la successiva Guerra fredda) e lo spopolamento, sono state le principali cause del Declino

2)   1945-1990 – Il Mondo Bipolare tra USA e vecchia Europa: il 900 ha visto il progressivo aumento di peso economico e politico degli USA; il fenomeno e’ conseguenza delle difficolta’ europee ed e’ stato anche fortemente sostenuto da una massiccia immigrazione, e
con la seconda Guerra mondiale il predominio divento’ produttivo, economico e politico; l’antagonista del periodo fu L’Unione Sovietica, realta’ con grandi risorse demografiche e naturali, ma con limiti intriseci di sistema che ne decreteranno la disgregazione successive


3)   1990-2015 – Biancaneve (USA) ed i 7 nani (altri paesi del G8): il crollo sovietico di fatto ha dato il predominio planetario, economico-finanziario, militare e politico al vecchio blocco Atlantico; in realta’ 2 fattori “lavoravano” per mutare gli equilibri nuovamente: da un lato le dinamiche demografiche sono impietose verso l’Europa ed i paesi Occidentali (nonostante l’immigrazione), dall’altro la
liberta’ dei commerci e la globalizzazione, innescavano un’immensa crescita produttiva dei paesi asiatici, Cina in primis


4)   2015-2035 – L’asse del mondo si sposta dall’Atlantico al Pacifico: la cosa appare evidente; nel 2010 la Cina superava gli USA nelle emissioni di CO2, e nel decennio attuale diventera’ la prima Potenza nella produzione manifatturiera; il peso Cinese aumentera’ sempre piu’ nell’economia e conseguentemente nella finanza, nella politica e perfino nel settore militare. Mafino a quando la Cina crescera’ all’8-10% o comunque oltre il 6%? Fino al 2030, anno in cui le “braccia” provenienti da agricoltura e zone rurali interne cesseranno di essere isponibili (in parallelo le politiche demografiche restrittive, causeranno mancanza di disponibilita’ di forze lavorative giovanili a buon mercato). Il 2030 rappresentera’ per la Cina cio’ che il 1990 rappresento’ per il Giappone: il passaggio da una crescita senza freni, ad un periodo di stagnazione. La Cina pero’ non e’ il Giappone, ma una realta’ che pesa 10 volte di piu’ demograficamente, per cui paradossalmente del 2030, pur se gli andamenti economici saranno modesti, il peso nel mondo diventera’ enorme; il 2030 sara’ anche il momento della “verita’” per il potere del Partito Comunista Cinese, che cessera’ in modo piu’ o meno virulento.

5)   2035-2060 – L’Asia centro del mondo: la cosa e’ ovvia, col fenomeno di globalizzazione; il continente dove riesiede e risiedera’ il 60% della popolazione mondiale diventera’ il centro del pianeta. Capiamoci, gli USA resteranno verosimilmente la prima Potenza militare
fino al 2060, e la vecchia Europa conservera’ una forza relativa, ma i 2 grandi colossi, Cina ed India, di fatto si contenderanno il predominio economico, e quindi politico. L’India nel 2030 superera’ in Popolazione la Cina, e sara’ ancora in pieno Boom (in pratica vivra’ con 15-20 anni di ritardo come intensita’ gli stessi fenomeni). In Asia poi, tanti altri paesi, dove vivranno 2,5 miliardi di persone (Indonesia, Pakistan, Filippine, etc) giocheranno su questo immenso tavolo da Poker. Europa ed USA, spesso faranno da arbitri, nelle controversie tra giocatori, e la cosa consentira’ al vecchio “Occidente” di mantenere un “ruolo” maggiore del suo reale peso


6)   Dopo il 2060 – Un mondo multipolare ed il “miracolo Africano”: appare evidente che tra 50 anni il mondo sara’ multipolare. Molti paesi poi, faranno “blocco”, per contare di piu’, e nasceranno allenze oggi giudicate impossibili. Prevedibile la presenza di 1 o piu’ blocchi nel vecchio occidente (Europa, Americhe, Oceania), della Cina, dell’India e di un blocco Pan-Islamico nel Medio Oriente ed Africa
Settentrionale. Ma la cosa, incredibile a pensare oggi, sara’ l’Africa. Gia’ oggi nascono nell’Africa Subsahariana oltre il 25% dei bambini del Mondo, e tra 50 anni l’Africa avra’ un peso demografico enorme, ed una popolazione giovane. I fenomeni che vediamo oggi in Asia, in parte si ripeteranno nel continente nero, ma la grande disomogeneita’ della realta’, le prevedibili crisi alimentari ed ambientali, innescheranno enormi “crisi politiche e sociali” accompagnate da emigrazioni bibliche (che si riverseranno in particolare in Europa). L’africa sara’ terra di rischi ed opportunita’ enormi, per il mondo dei nostri nipoti.


PS:
prendete questo articolo come qualcosa di un po’ visionario e fantasioso, considerato che la storia ha dinamiche non sempre influenzate da fenomeni macroscopici (in gran parte prevedibili), ma spesso da fatti puntuali quasi mai prevedibili (guerre, carestie, catastrofi, invenzioni, etc)


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0 Penso anch’io che STAMPANO: ci sono dati che lo fanno presupporre; i PRODUTTORI Tedeschi chiave della decisione.

DOMANDA: L’EUROPA A BREVE TERMINE STAMPERA’ MONETA’ E SALVERA’ LA GRECIA, E QUINDI L’EURO?

FK di recente di ha postato l’articolo IT’S QE TIME, in cui ha previsto che a breve l’Europa stampera’.
Immagino l’abbia fatto sulla base dei informazioni finanziarie e sul suo intuito.
Ho voluto, con la mia metodologia un po’ statistica ed un po’ ingegneristica verificare se c’e’ quelche segnale in questo senso.


PREMESSA: PERCHE’ I TEDESCHI ACCETTARONO L’ITALIA NELL’EURO?

Su questo discorso s’e’ fatto un gran parlare. E’ comunque un fatto, che l’Italia (e non solo essa) furono accetate nell’Euro oltre un decennio fa, pur non avendo le carte in regola.
Cio’, nei fatti, fu possible, grazie al fatto che LE FORZE PRODUTTIVE TEDESCHE (in primis gli industriali) FECERO PRESSIONE SULL’ALLORA GOVERNO TEDESCO PER ACCETTARE L’ITALIA, pur se la maggioranza della popolazione non ne era troppo entusiasta.
Lo Ripeto: l’Italia entro’ nell’EURO non per spirito di carita’ di qualcuno, o per meriti propri, o per l’intervento di chissachi’ (USA, Francia, Mercati, etc), o grazie al favore dei Partiti, governanti o del popolo Tedesco, ma per precise pressioni del mondo produttivo Tedesco, che consentirono di vincere ogni ritrosia.

All’epoca l’Italia era piu’ forte di oggi, ed aveva un PIL pro-capite analogo a quello Tedesco, ed una PRODUZIONE INDUSTRIALE MANIFATTURIERA di tutto rispetto, seconda in Europa solo a quella Tedesca, e di valore aggiunto complessivo pari al 65% di quello della Germania (concentrate essenzialmente nel Nord Italia). Un’Euro senza Italia, significava un concorrente tosto. La confindustria Tedesca, aveva gia’ nel passato vissuto le svalutazioni competitive Italiane, e da queste aveva sempre avuto impatti non propriamente positivi. La Germania accetto’ l’Italia, ma a patto di un suo ingresso ad un livello di cambio assurdo (990 lire per un marco), che di fatto sterilizzava l’industria italiana per almeno un quinquennio. Il piano Tedesco, poi, utilizzare quell tempo a disposizione per rendere l’apparato produttivo locale piu’ competitivo, grazie a riforme e detassazioni sul mondo produttivo, ma anche grazie ad azioni deflazionistiche, che avrebbero consentito ai Tedeschi di avere minore inflazione rispetto agli altri paesi europei (in primo luogo l’Italia, che piaccia o non piaccia, era e rimane in seno all’Europa il maggiore competitor manifatturiero dei tedeschi) acquistando competitivita’. L’Italia, ingabbiata, ovviamente non riusci’ a cambiare rapidamente mentalita’, e prosegui’ nelle sue non-politiche (mancanza riforme, mancanza di riduzione delle inefficienze pubbliche, mancanza di politiche deflattive).
Nei piani degli industriali tedeschi, l’entropica Italia doveva diventare terra di conquista e di ricezione dei prodotti made in Germany, ed a livello produttivo doveva fortemente ridimensionarsi e divenire una sorta di “subcontractor” della macchina produttiva tedesca.
Il piano funziono’ alla perfezione, e negli ultimi 7 anni, la produzione industriale tedesca e’ salita del 12%, quella Italiana e’ scesa del 15% (nel complesso PIIGS e Francia sono a -14% sul 2005).


DOMANDA: COSA REALMENTE POTREBBE CONVINCERE LA MERKEL A CAMBIARE IDEA SULLA POLITICA DA “FALCO” SULL’AUSTERITY?

Frau Merkel, negli ultimi 3-4 anni, ha ceduto pochissimo a chiunque e difatti ha imposto un’austery quasi “punitiva” a tutti i partners. Il governo Tedesco e’ stato sottoposto a pressioni incredibili, per aprire i cordoni della borsa, tanto dai mercati, quanto dagli USA (sempre piu’ preoccupati che l’apocalisse dell’Euro posso riperquotersi in ultima istanza sugli USA stessi, paese comunque super-indebitato a tutti I livelli), quanto dalle istituzioni internazionali, quanto dagli altri paesi della UE (non solo i PIIGS, ma anche la Francia ed altre Nazioni).
Frau Merkel ha comunque ceduto pochissimo, e per ora la sua linea ha vinto, nonostante pezzi d’Europa e le relative popolazioni vivano sistuazioni drammatiche. Il governo Tedesco (e la popolazione) non si sono troppo scomposti, e sono andati avanti per la loro strada, nonostante gli enormi pericoli finanziari di una conclusione negativa finale della crisi.
Ricordiamoci che la Germania e’ un paese particolare, che non ama affatto la finanza o la societa’ dei servizi (vissute come “impurita” del mondo anglosassone), ne’ ama il dirigismo statalista fine a se’ stesso o alla grandeur (tipico della Francia, ma anche di altri paesi dell’unione). In Germania c’e’ massima considerazione del mondo produttivo, e la priorita’, vissuta ad ogni livello della societa’ e’ la PRESERVAZIONE DELLA MACCHINA PRODUTTIVA ESPORTATRICE MANIFATTURIERA, orgoglio ed emblema della serieta’ del paese.
In conclusione, ritengo che la forza che potrebbe convincere “Merkel, governo e politica tedesca, e popolazione” e’ ancora una volta LA CONFINDUSTRIA (E RELATIVI ALLEATI, SINDACATI INCLUSI).
La confindustria tedesca, per ora s’e’ sempre schierata a favore dell’Euro, perche’ sa perfettamente che senza di esso avrebbe problemi piuttosto seri; ma fino ad oggi le cose andavano bene cosi’, ed anzi i risvolti della crisi hanno portato vantaggi (tassi di interesse vicino allo zero, finanziamenti copiosi, etc).
Ora pero’ all’orizzonte, per la macchina produttiva tedesca, vi sono 2 pericoli semplicemente enormi, legati al collasso dell’Euro o ad una prosecuzione dell’attuale crisi:
a)      La perdita di vasti mercati (quelli del Sud Europa) ed il rischio di rinascita di competitors sotto casa
b)      Gli impatti a catena di un crollo finanziario globale


GUARDATE UN PO’ A MARZO COS’E’ SUCCESSO NEI SALDI COMMERCIALI EUROPEI?
A Marzo 2012 sono usciti una serie di dati Interessanti, in particolare sul fronte dell’Import Export.
Qui in tabella, vi metto I Dati di Germania, Italia ed Europa, nelle componenti Extra-UE ed UE.
 In coda c’e’ un focus sugli scambi del mese tra Italia e Germania.

 slide Copy 19 Penso anchio che STAMPANO: ci sono dati che lo fanno presupporre; i PRODUTTORI Tedeschi chiave della decisione.

Notate niente?
La Germania ha peggiorato il Saldo Commerciale di Marzo 2012 (la cosa non si vedeva da lungo tempo) di 1.4 miliardi rispetto al 2012, e cio’ potrebbe essere causato proprio dall’Italia. Infatti:
a)      E’ peggiorato in un solo mese di 1,2 miliardi l’interscambio Tedesco con l’Italia, a causa del tracollo dell’export verso il bel paese
b)      Dei 5.1 miliardi di miglioramento dei interscambio complessivo dei 27 paesi UE col resto del Mondo, l’Italia se ne e’ accaparrati 3,6 e la Germania solo 1,4 (agli altri praticamente niente), e cio’ grazie ad un certo dinamismo dell’export Italiano
La sintesi e’ che l’austerity ordinate da Frau Merkel a Monti, ha oltrepassato l’immaginabile; la montagna di tasse imposte da Monti agli Italiani ha fatto crollare verticalmente i consumi, penalizzando l’Import pesantemente (e quindi I Tedeschi), ed ha spinto le imprese Italiane, letteralmente disperate dal tracollo produttivo, a maggiore aggressivita’ sul fronte dell’export.
Pochi sanno, che ancora oggi, nonostante tutto, e nonostante non vi sia alcun motive razionale per un imprenditore per restare in Italia, il Bel Paese ha ancora la seconda “macchina manifatturiera continentale”, ovviamente provata, ma ancora con ampia capacita’ produttiva inutilizzata.
Facendo 2 conti, l’impatto sulla Germania a Marzo 2012 della sola austerity Italiana, potrebbe essere di circa 2 miliardi nel Saldo Commerciale (1,2 nell’interscambio diretto, e 0,8 almeno in quello ccon paesi terzi).  Se ad Aprile queste tendenze si confemeranno, sara’ un campanello d’allarme per il Made in Germany. 2 miliardi al mese, fa 24 miliardi all’anno, l’1% del PIL, che non e’ roba da poco.
Figuriamoci l’impatto nel caso di una svalutazione della Lira: a quell punto, si aggiungerebbe il fattore “cambio” ed il conto potrebbe salire. Poi, ovviamente, manifatture non ci sono solo in Italia, ma pure in altre nazioni.

HO COME L’IMPRESSIONE, CHE SE AD APRILE E MAGGIO STI DATI SI CONFERMASSERO, LE FORZE PRODUTTIVE TEDESCHE, POTREBBERO CONVINCERE FRAU MERKEL E GLI INOSSIDABILI GOVERNANTI E CUSTODI DELL’ORTODOSSIA LUTERANA, AD ACCETTARE QE A NASTRO, E MAGARI ANCHE UNA VERSIONE PRIMORDIALE DI EUROBOND, PER EVITARE IL TRACOLLO DELL’EURO (e magari per evitare che Monti faccia un’altra manovra…. Visto che pare le sue manovra abbiano impatti negativi, non solo sui poveri Italiani, ma pure sui panzer tedeschi)


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