sabato 16 febbraio 2013

0 Esclusivo – Intervista a Roberto Maroni: “macroregione del Nord per eliminare l’IRAP, ridurre le tasse ed i ticket”

Di seguito riportiamo l'intervista esclusiva rilasciata dall'Onorevole Roberto Maroni, segretario federale della Lega Nord dal 1º luglio 2012, candidato alla Presidenza della Regione Lombardia. Maroni e' stato Ministro dell'Interno nei governi Berlusconi I e Berlusconi IV, e Ministro del Lavoro nei governi Berlusconi II e Berlusconi III.
 
L'intervista e' piuttosto articolata e verte su molteplici argomenti strategici ed economici, ed e' stata condotta da GPG Imperatrice per Rischio Calcolato, Scenari Politici, QELSI ed altri siti.
 
Buona Lettura.
maroni-roberto
 
 
 
L'INTERVISTA ESCLUSIVA A ROBERTO MARONI
 
Parte 1 - Sulla Lombardia e il Nord: "macroregione del Nord per eliminare l'IRAP, le tasse ed i ticket"
 
D - Cominciamo dalla Regione Lombardia, a prescindere dai tristi e noti episodi di cronaca giudiziaria, i numeri dicono che la Lombardia è la Regione di gran lunga meglio gestita in Italia, ottimi servizi a imprese e cittadini ad un costo più che ragionevole. Se la Lombardia fosse uno Stato sarebbe invidiato perfino dai tedeschi. In questo senso il ruolo di Formigoni, in oltre un decennio come governatore, nel bene e nel male è stato determinante.  Non le sembra che rovesciare il tavolo e presentarsi come nuovo governatore del centrodestra sia stato ingeneroso nei confronti di Formigoni e un “danno” per i cittadini Lombardi?
 
formigoni
R - Parlare di tavoli rovesciati, di ingenerosità e di danni mi sembra francamente eccessivo. Presto saranno gli stessi cittadini lombardi a misurare i risultati. In questi anni il presidente Formigoni non ha governato da solo. Il contributo che molti dei nostri esponenti hanno saputo garantirgli, in qualità sia di consiglieri che di assessori, è stato determinante. Concordo con Lei sulla puntuale descrizione che ha fatto della Lombardia: in questi anni è stato fatto molto, specie se messo a paragone con il percorso intrapreso da altre regioni d’Italia. Tuttavia a noi non piace giocare al ribasso, ragione per la quale preferiamo confrontarci con regioni in cui servizi erogati ed infrastrutture garantiscono ai cittadini una qualità della vita ancora migliore.
 
 
D - Se la scommessa di ottenere la guida delle 3 più importanti regioni del Nord dovesse essere vinta, quale sarebbe, tecnicamente la mossa successiva per ottenere una qualche forma di vera devoluzione?
 
R - Se dovessi diventare il nuovo governatore lombardo un minuto dopo il mio insediamento, insieme con i presidenti di Piemonte, Veneto e Friuli Venezia Giulia costituiremo la macroregione del Nord un nuovo soggetto economico- istituzionale che rappresenta un ampio territorio omogeneo in grado di condizionare le scelte di Roma e Bruxelles. Del resto, è la stessa Unione europea a promuovere l’aggregazione tra Regioni. Noi siamo molto più europeisti di tanti euro tecnici italiani.
  
 
D - Il punto forte della campagna alla conquista della Regione si basa sul trattenimento del 75% delle risorse in Lombardia. Può spiegarci, cifre alla mano, esattamente in cosa consiste ciò?
 
tasse
R - Trattenere almeno, e sottolineo almeno, il 75% delle tasse in Lombardia, comporta un aumento della disponibilità finanziaria in regione di 16 miliardi di euro l’anno, come certificato dal Corriere della Sera. Con questi soldi la regione potrebbe eliminare il bollo auto, l’Irap alle aziende, il ticket sanitario, l'accisa sulla benzina e si potranno garantire agli studenti delle scuole dell’obbligo i libri gratis Stiamo parlando di 50 milioni di euro al giorno trattenuti nelle casse dei Lombardi. Sono i nostri soldi. La Lombardia ha le risorse per garantire standard europei ai massimi liv elli. Abbiamo sempre dat o con generosità agli altri, oggi vogliamo potere autogestire le nostre risorse. A livello statale hanno fallito sperperandole. E’ ora di invertire la marcia.
 
 
D - Lei parla di frequente di “macroregione del Nord” con Lombardia, Veneto e Piemonte. Ci può far capire in cosa consiste in sostanza?
 
R - Le Macroregioni rappresentano lo strumento istituzionale su cui puntare per migliorare l'amministrazione della cosa pubblica. E’ un progetto inventato da noi ma ormai largamente condiviso anche da chi non è leghista. Le faccio un esempio: all’ inaugurazione del centocinquantesimo anno accademico del Politecnico di Milano si è parlato proprio di questo. Di una macroregione che parte da Venezia e arriva fino a Torino. Un polo con Milano al centro che disegnato così arriva a 25 milioni di abitanti. ‘L’ecosistema Milano cuore di una macroregione, può salvare il paese dalla marginalizzazione’ , non l’ho detto io, ma il rettore del Politecnico Giovanni Azzone.  La riforma federale, infatti, dovrà partire da un nuovo assetto statale articolato su tre Macrore gioni (Nord, Centro e Sud). Inoltre, ogni Regione dovrà ottenere la più ampia autonomia sul piano legislativo e organizzativo, e attuare concretamente la riforma del Titolo V della Costituzione. Insomma, non si dovrà eliminare l’autonomia attribuita alle attuali Regioni a Statuto speciale ma è necessario aumentare il grado di autonomia delle Regioni a statuto ordinario, prendendo come modello le 'specialità' del Nord.
 
 
D - Il prossimo governo di Roma probabilmente sarà un governo di centro-sinistra o al più di coalizione più o meno ampia. Perché mai un tale governo dovrebbe accettare la vostra proposta di macroregione del nord o il trattenimento del 75% delle tasse in loco? Che strumenti avete in programma di utilizzare per convincerlo?
 
R - Queste regioni unite, con anche il Friuli, hanno il peso economico e politico per farsi ascoltare e rispettare, devono solo avere governi che lavorino in sincronia e con determinazione. Il prossimo Governo di Roma, sarà molto debole, a maggior ragione noi dobbiamo essere forti. Parliamoci chiaro, i Lombardi sono chiamati a cogliere un’occasione unica, quella di votare per un referendum: volete un Nord forte e autorevole? Volete rendere concreta l’opportunità che le esigenze dei vostri territori vengano considerate una priorità? Ritenete giusto responsabilizzare ogni singola Regione? Se sì, e ogni Lombardo di buonsenso dovrebbe rispondere sì, si deve votare Roberto Maroni. Il nostro obiettivo è semplice e chiaro, costituire la Macroregione che si fo nda su precisi principi positivi: giustizia, equità, responsabilità, sussidiarietà.
 
 
Parte 2 - Sul Governo Monti: "Governo di tassatori che ha impalato la classe media"
 
D - Lei e’ estremamente duro sul Governo Monti: che ruolo pensa abbiano giocato la Germania e la BCE, nella caduta del governo Berlusconi e successivamente nelle politiche adottate dal governo Monti?
 
monti
R - Io non sono un complottista e soprattutto questo paese deve guardare avanti e non continuare nel gioco al massacro delle dietrologie che creano piagnistei e quindi debolezze. Io guardo alla Lombardia. E la Lombardia in termini di forza economica, di Pil, di know- how è una scuola per tutta Europa.   A Monti non interessa la nostra forza, non ha voluto difendere il nostro tessuto economico e sociale, quelle piccole, piccolissime e medie aziende che sono la spina dorsale del paese. Non ha voluto in alcun modo tutelare coloro che nonostante l’impegno ogni giorno chiudono la saracinesca. Lasciando migliaia di lavoratori a casa senza nemmeno la garanzia di un aiuto. Penso al disastro Fornero. Questo è stato un governo avulso non solo dalla realtà ma proprio dall’umanità.  Son o riusciti ad aumentare la pressione fiscale fino al punto di rendere in semi povertà la classe media. Il vero paradosso è che Monti e i suoi, trincerati dietro asettiche maschere da tecnici, che all’inizio dovevano essere salvatori non hanno avuto coraggio di tagliare privilegi, anzi, li hanno garantiti alle banche. Pensate solo al fatto che noi abbiamo pagato l’Imu per salvare MPS.
 
 
Parte 3 - Le alleanze: "Lega modello CIU; l'alleanza col PDL e' nei fatti"
 
D - In cosa consiste l’alleanza di Giulio Tremonti e del suo movimento 3L con la Lega Nord?
 
R - Tremonti ha presentato una sua lista a sostegno della mia candidatura in Regione Lombardia.  L’accordo ovviamente riguarda anche le elezioni politiche. Giulio Tremonti ha un programma di azione politica che noi intendiamo realizzare e che vede al suo centro l’Europa. Siamo gli unici che hanno una visione di cosa sara’ l’Europa del futuro che passa attraverso la costituzione delle macroregioni. Tremonti crede nel nostro progetto. Io credo nella confederazione e in questo nuovo modello politico. Come la CiU, che è la somma di due partiti, ha un unico simbolo, cioè è il modello confederale che è a nche quello della Lega, la quale al congresso dell’anno scorso è passata da partito federale a partito confederale.
 
 
D - Perché non vi siete alleati anche con FARE- Fermare il declino di Giannino ?
 
tremonti giannino
R - La domanda andrebbe ribaltata: perché Giannino non si è alleato con la Lega? Prima di pensare alle alleanze, noi abbiamo posto sul tavolo delle idee e dei progetti. E abbiamo sempre detto di essere disposti a dialogare con chi accettava il nostro programma. L’intesa con il Pdl è stata raggiunta sulla base di contenuti forti, ben precisi e vincolanti. Non per niente, io mi sono candidato senza aspettare che Pdl o altre forze decidessero di appoggiarmi.
 
 
 
 
D - Col PDL il capitolo alleanze pareva chiuso a sentire le sue dichiarazioni fino ad 1 mese fa. Può fare chiarezza su quanto avvenuto? Quali le strategie future? Lei sa perfettamente che l’alleanza col PDL era osteggiata dalla maggior parte della base leghista, e che potreste perdere qualche elettore? Cosa può dire a questo elettorato disilluso? Perche’ questa volta quest’alleanza dovrebbe produrre risultati migliori del passato?
 
R -Siamo arrivati all'intesa dopo una lunga trattativa partendo da due presupposti: il primo è che il Pdl ha finalmente capito che ha fatto male a sostenere il governo Monti (che ha fatto tanti danni) e si è messo all'opposizione. Il secondo è che Lega e Pdl sono al Governo insieme in quattro Regioni del Nord, cioè Piemonte, Veneto, Friuli e Lombardia, e in quasi 500 amministrazioni comunali nel Nord. L'alleanza Lega-Pdl è nei fatti.  Nella storia della Lega c'è stato ben peggio, rotture, scissioni, guerre intestine. La base è fatta di persone vere, che hanno grande passione e hanno già capito che con quest'accordo noi siamo riusciti a ottenere ciò che volevamo e che così possi amo vincere in Lombardia e realizzare il sogno di Miglio di costituire la macroregione.
 
 
Parte 4 - L’Economia Italiana: "Riduzione di 16 miliardi all'anno della Spesa Pubblica e 400 miliardi di dismissioni"
 
 
D - Secondo lei il debito pubblico italiano va onorato così come è oppure va ripudiato e quindi ristrutturato?
 
R - Il nostro programma nazionale prevede di portare in 5 anni, il rapporto debito-Pil sotto quota 100%. Come?  Attaccando complessivamente il debito pubblico da 400 miliardi, basandoci su: vendita di immobili pubblici; messa sul mercato anche di partecipazioni azionarie pubbliche sia statali che locali; valorizzando le concessioni demaniali; convenzionandoci fiscalmente con la Svizzera per le attività finanziarie detenute in quel Paese. Dimezzando degli oneri del servizio del debito in 5 anni. Costituiremo un grande fondo obbligazionario a cui lo Stato conferisca parte del suo patrimonio pubblico tutelando gli interessi nazionali, attraverso un rigoroso criterio di reciprocità con gli altri Paesi, per evitare attacchi a danno delle aziende strategiche; insomma,  privatizzare sì, svendere no.
 
 
D - Su Rischio Calcolato sosteniamo la necessità di ridurre pesantemente la Spesa pubblica ed abbiamo elaborato proposte dettagliate a riguardo. Abbiamo con piacere notato recentemente proposte analoghe della Lega (esempio: riduzione impiegati pubblici, costi standard, etc). Su altri temi, pero’, la Lega e’ su posizioni diverse. Non ritiene che in una nazione con 24 milioni di pensioni erogate e con la più alta spesa pensionistica del mondo, non sia il caso di fare qualche intervento anche sulle pensioni attualmente erogate, e non sempre sui pensionati di domani?
 
tagli
R - Noi abbiamo un preciso piano di attacco alla spesa pubblica eccessiva e improduttiva. Il nostro programma prevede un intervento di forte riduzione della spesa pubblica, per un risparmio di almeno 16 miliardi all'anno con una riduzione di una quota pari al 3% delle attuali. Ogni legge di spesa, deve poi avere una scadenza.
Il programma prevede anche l’introduzione della Tax expenditures. Sonole agevolazioni (v. Agevolazione tributaria) e le esenzioni fiscali. Le tax expenditures corrispondono ad una vera e propria erogazione di spesa. Le tax expenditures spingono lo Stato ad effettuare delle spese che in div erse situazioni non verrebbero erogate. In altri sistemi non si parla di una generica detrazione di spesa in tema di tax expenditures, ma ci si riferisce in modo più specifico alla possibilità di detrarre dalle imposte sul reddito solo quelle spese sostenute a favore di attività o gruppi di interesse sociale (scuole, università, ospedali ecc.). Attraverso il sistema delle tax expenditures è possibile gestire, in maniera più corretta, una serie di finanziamenti, facendoli confluire verso attività che altrimenti avrebbero difficoltà nel reperire i fondi necessari. 
 
  
Parte 5 - Sulla Lega: "Si alle primarie, nuova strategia per l'Indipendenza"
 
D - Ha intenzione di introdurre le “primarie” in modo sistematico per le candidature in futuro? Se venisse eletto Governatore, lascerebbe la guida della Lega a qualcun altro, magari a Tosi?
 
miglio bossi
R - La Lega, le primarie le ha inventate. Noi siamo un movimento strutturato e democratico. I nostri candidati, tutti, sono scelti dalla base, dalle sezioni. Noi non abbiamo bisogno di lezioni politiche dai democratici, i nostri militanti - noi li abbiamo - scelgono e hanno diritto di parola. Io comunque passerò la mano da segretario federale della Lega e il congresso dovrà essere convocato per l’autunno o al massimo nella primavera del 2014. Se vincerò, sarò il garante istituzionale del percorso verso la macroregione del Nord, mentre il nuovo segretario dovrà realizzare il progetto politico del nuovo partito del Nord. Se invece perderò, mi farò da parte perché ritengo che un leader che s i candida non può riciclarsi se viene sconfitto.
 
 
D - Su Miglio, che ricordo ne ha? E come ha vissuto la sua cacciata dalla Lega (ricordiamo epiteti non edificanti su Miglio da parte dell’allora segretario Umberto Bossi)
 
R - Miglio e' nel nostro Pantheon. Il professore comasco è stato da poco ricordato in un convegno a Domaso, cittadina sul lago di Como dove Miglio ha vissuto ed e' sepolto.  Lui ci ha indicato la via e trasformato la straordinaria intuizione di Umberto Bossi in un disegno istituzionale. Tutti gli siamo riconoscenti anche Bossi. Continua ad essere il nostro faro ideologico.  Ogni 15 settembre (anniversario della dichiarazione di indipedenza della Padania firmata nel '96 a Venezia) faremo un appuntamento fisso proprio a Domaso per commemorarlo come merita.
 
 
indipendenza
D - Recenti sondaggi indicano una quota di popolazione favorevole all’indipendenza del 47% in Lombardia, e tra il 48% ed il 56% in Veneto. Perché, visti i numeri, non puntate in modo aperto sull’indipendentismo, senza alleanze a Roma, al pari dei partiti fiamminghi e catalani?
 
R - Per farlo dobbiamo avere il governo unito delle regioni del Nord e costituire la macroregione. E’ un passaggio per tappe, non possiamo calcare la mano e affrettare passaggi che sono naturali.
 
 
 
 
D - Tantissimi elettori sono delusi dalla Lega, e più o meno tutti sostengono la stessa cosa: la Lega s’e’ Romanizzata ed in 20 anni non ha risolto niente. La difesa e’ sempre la stessa: gli altri non c’hanno lasciato agire. A noi sembra una difesa debole e l’autocritica limitata. Può dirci come realmente può convincere i tanti ex-elettori leghisti a tornare a pensare alla Lega come forza credibile ed energica?
 
R - No, non ci siamo mai pianti addosso dicendo che gli altri non ci hanno lasciato agire. Noi abbiamo sempre avuto contro almeno l’80% dell’arco costituzionale, nonostante questo abbiamo ottenuto tanto e otterremo ancora di più. Non abbiamo paura a fare autocritica, abbiamo anche sbagliato e infatti abbiamo avuto il coraggio di cambiare strada tornando al progetto originario. Noi proponiamo una ‘rivoluzione’ strategica, politica ed economica. E’ ovvio che i conservatori che vivono di questo sistema siano contrari a rivoluzionarlo.  Ma la storia ci darà ragione come ha fatto sino a qui.
 
 
D - La ringraziamo per l’Intervista. Può mandare un messaggio di speranza ai nostri lettori?
 
R - Io non voglio vendere fumo, dare ai lombardi fatue speranze. Io ai lombardi propongo un obiettivo. 50 milioni di euro al giorno, alias 16 miliardi all’anno da investire in sgravi fiscali per le imprese, aiuto ai giovani a trovare lavoro e sostegno alle famiglie e ai più deboli.


IL PROGRAMMA DI ROBERTO MARONI per la regione LOMBARDIA
Per chi vuole approfondire qui il LINK col Programma DI ROBERTO MARONI per la regione LOMBARDIA.

programma maroni


IL PROGRAMMA DELLA LEGA NORD PER LE ELEZIONI NAZIONALI
Per chi vuole approfondire qui il LINK col Programma della LEGA NORD per le Elezioni Politiche 2013.

programma lega

Conclusioni: ringrazio l'Onorevole Maroni per la cortese intervista, tra l'altro molto seria e dettagliata, che vi invito a leggere. Dal punto di vista dei contenuti e dei programmi, reputo che la Lega sotto la sua direzione ha fatto passi avanti enormi, ed a livello programmatico la Lega presenta uno dei programmi migliori tra quelli in circolazione. Ovviamente alle parole devono seguire i fatti ed i risultati, se no la credibilita' non si consolida.

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mercoledì 16 gennaio 2013

0 Il Grafico del Giorno (esclusivo): i Saldi Commerciali bilaterali dell’Italia


Negli ultimi 18-24 mesi l’Italia ha peggiorato leggermente i saldi bilaterali unicamente con la Russia (a causa dell’import di prodotti energetici).

Il deficit commerciale con la Germania e’ calato del 60%, quello con la Cina del 30%: indubbiamente la Germania e’ stata notevolmente piu’ impattata della Cina, dal crollo della Domanda interna Italiana.

Fortemente migliorati gli attivi commerciali con USA, UK, Francia, Turchia e Svizzera.

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0 Bilancia Commerciale: a Novembre 2012 in saldo migliora di ben 4 miliardi. Tutti i dati


L’Istat ha comunicato i dati dell’import-export a Novembre 2012, con un saldo che passa da -1,6 miliardi a +2,4 miliardi, in miglioramento di ben 4 miliardi in un solo mese. I dati destagionalizzati segnalano un miglioramento piuttosto netto della bilancia commerciale, che nell’arco di 2 anni e’ migliorata nel complesso di circa 6 miliardi al mese.

gpg1 9 Copy 650x377 Bilancia Commerciale: a Novembre 2012 in saldo migliora di ben 4 miliardi. Tutti i dati

Nel confronto col mese precedente, a novembre 2012 si rileva un aumento delle esportazioni (+0,4%) e una flessione delle importazioni (-2,2%). La diminuzione congiunturale delle importazioni è più accentuata per i paesi extra Ue (-3,7%) rispetto a quelli Ue (-0,9%). In forte contrazione risultano gli acquisti di prodotti energetici (-5,0%), di beni strumentali (-4,9%) e di beni di consumo durevoli (-3,6%).

Rispetto allo stesso mese del 2011, a novembre si registra un incremento tendenziale per le esportazioni (+3,6%), mentre le importazioni sono in marcata diminuzione (-8,2%). I valori medi unitari aumentano del 4,0% per l’export e del 2,2% per l’import, mentre i volumi sono in riduzione, contenuta per le vendite (-0,4%) e notevolmente accentuata per gli acquisti (-10,2%).
A novembre il saldo commerciale è pari a +2,4 miliardi, con un surplus più ampio per i paesi extra Ue (+1,9 miliardi) rispetto a quelli Ue (+0,5 miliardi). Nei primi undici mesi dell’anno il saldo complessivo, sostenuto dall’ampio avanzo nell’interscambio di prodotti non energetici (+67,2 miliardi), risulta positivo e pari a 8,9 miliardi.

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Rispetto a novembre 2011, l’aumento dell’export è particolarmente accentuato verso i paesi OPEC (+33,0%) e i paesi ASEAN (+29,3%). Rilevante è l’espansione delle vendite di prodotti petroliferi raffinati (+42,5%) e di articoli sportivi, giochi e preziosi (+16,2%). L’import complessivo è in flessione nonostante il forte incremento degli acquisti dal Belgio (+21,7%) e dai paesi OPEC (+10,3%). In forte flessione risultano le importazioni dai paesi Mercosur (-39,9%), dal Giappone (-39,5%) e dagli Stati Uniti (-31,3%).

Nel complesso l’Italia ha consistenti saldi attivi con tutto il mondo, con 3 eccezioni:
a) I paesi produttori di gas e petrolio (Russia, OPEC), verso cui comunque il deficit e’ in calo
b) La Cina
c) La Germania, verso cui il deficit s’e’ dimezzato
I saldi sono negativi anche verso Belgio ed Olanda, in quanto da questi porti transitano molte merci cinesi in ingresso.
Realmente notevoli i saldi attivi verso: Francia, Regno Unito, Svizzera, Stati Uniti, America meridionale, Turchia, Oceania e perfino Giappone


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Il saldo manifatturiero a Novembre e’ attivo per 8,9 miliardi, e per circa 95 miliardi negli ultimi 12 mesi, pari al 6% del PIL. La cifra e’ realmente notevole e compensa il forte passivo energetico piu’ che abbondantemente.

L’andamento della bilancia commerciale sara’ fortemente positivo nel quarto trimestre 2012, e dovrebbe dare un contributo dello 0,7-1,0% trim/trim al PIL, compensando parte del tracollo della domanda interna, ed attenuando il calo del PIL. Il saldo migliora grazie alla tenuta dell’export (a novembre fa un +3,6% contro un dato tedesco invariato) ed al collasso dell’Import (che continua a crollare del 10% annuo in volume).


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0 A Novembre collassa il traffico Aereo: -6,2% di passeggeri

Assaeroporti comunica che a Novembre 2012 collassa il traffico aereo, uno dei pochi indicatori che nei mesi scorsi aveva tenuto.

aereo A Novembre collassa il traffico Aereo:  6,2% di passeggeri
Qui i dati:
  • Movimenti aerei: -8,2% (da inizio anno -4,4%)
  • Passeggeri trasportati: -6,2% (da inizio anno -0,8%)
  • Traffico Cargo: -3,1%  (da inizio anno -5,1%)
A livello di passeggeri trasportati, la situazione e’ la seguente:
  • Totale:  a novembre -6,2% (9,4 milioni di passeggeri), da inizio anno -0,8% (137 milioni di passeggeri)
  • Aeroporti di Milano (Linate, Malpensa, Bergamo): a novembre -2,5% (2,5 milioni di passeggeri), stabile nell’anno (34 milioni di passeggeri) grazie alle buone performance di Linate e Bergamo
  • Aeroporti di Roma (Fiumicino e Ciampino): a novembre -6% (2,8 milioni di passeggeri), da inizio anno -2% (39 milioni di passeggeri)
  • Altri aeroporti italiani: a novembre -8,5% (4,1 milioni di passeggeri), invariato nell’anno (64 milioni di passeggeri)
A livello di traffico il bacino Lombardo tiene meglio del polo Romano. Nei 2 bacini si concentra il 55% del traffico passeggeri italiano. A livello Carco, i soli aeroporti Lombardi assorbono il 65% del traffico italiano.
Tra gli aeroporti minori, dati pessimi a novembre sul traffico passeggeri l’aeroporto di Catania (-43%)

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martedì 15 gennaio 2013

0 Elezioni 2013: verso un Senato imballato


Lo scrissi chiaramente qualche mese fa  nell’articolo Elezioni 2013 – Bersani Premier ? solo B.R.I.M. puo’ impedirlo!, che Bersani aveva 4 seri ostacoli per la sua investitura a Premier: Berlusconi, Renzi, gli Incerti e Monti.
Guarda caso sono proprio questi 4 fattori, che con tutta probabilita’, stanno influendo sugli eventi, impedendo con tutta probabilita’ a Bersani di fare il Premier, o facendoglielo fare in condizioni complesse e non facili, tipo Prodi nel 1996 e 2006 (in ambedue i casi, Prodi, duro’ poco):
- Berlusconi ha creato una coalizione con la Lega e sta fortemente recuperando nei sondaggi
- Renzi con la sua sparizione, di certo non sta aiutando Bersani a stravincere
- Gli incerti, coloro che non rispondevano ai sondaggi, si stanno riposizionando premiando il CentroDestra
- Monti, ha creato una coalizione che di fatto ha l’obiettivo di azzoppare la vittoria di Bersani al Senato


bersani pd preoccupato 555 470x300 Elezioni 2013: verso un Senato imballato

I FATTI

I sondaggi un mese fa davano la coalizione di Bersani ben 20-25 punti avanti a Berlusconi. Le elezioni sembravano una passeggiata. Una serie di fatti hanno ridotto la distanza ad appena 6-12 punti:
- L’alleanza PDL-Lega
- L’ottima ed efficace campagna elettorare del Cavaliere
- La fine dell’effetto “primarie”
- La discesa in campo di Monti

COSA INSEGNANO LE PRECEDENTI CAMPAGNE ELETTORALI

Le precedenti campagne elettorali insegnano alcune cose:
- La coalizione “uscente”, data per perdente, tende a recuperare fortemente sotto elezioni (Berlusconi nel 2006 passo’ da -10 punti ad un sostanziale pareggio, e Veltroni nel 2008 passo’ da -20 punti a -9); il motivo e’ semplice: parte degli elettori della coalizione governativa passano dalla dichiarazione di astensione al voto attivo
- La coalizione “uscente” ne esce comunque perdente (la cosa s’e’ praticamente sempre verificata durante la seconda repubblica)

Conclusioni: e’ prevedibile che il recupero del CentroDestra continui, di pari passo con la riduzione dell’elettorato incerto, anche se difficilmente vi sara’ il sorpasso. Verosimile e’ una vittoria del CentroSinistra di qualche punto percentuale. Ovviamente, questa conclusione si basa sul comportamento storico, che potrebbe essere comunque smentito dai fatti, in considerazione della Campagna elettorale, di fatti giudiziari e quant’altro.

IL SENATO IMBALLATO E’ L’IPOTESI PIU’ VEROSIMILE

Si fa un gran parlare di “Senato Battleground”. Vediamo il comportamento storico delle regioni chiave al Senato:
- Lombardia: nel 2006 il CentroDestra vinse con un margine maggiore del 13,6% rispetto alla distanza nazionale tra le 2 coalizioni, e nel 2008 il margine fu del 13,8%
- Veneto: nel 2006 il CentroDestra vinse con un margine maggiore del 16,9% rispetto alla distanza nazionale tra le 2 coalizioni, e nel 2008 il margine fu del 13,5%
- Sicilia: nel 2006 il CentroDestra vinse con un margine maggiore del 16,6% rispetto alla distanza nazionale tra le 2 coalizioni, e nel 2008 il margine fu del 16,5%

Conclusioni: In sintesi il CentroSinistra per vincere in almeno 2 delle 3 regioni “Ohio” dovrebbe sopravanzare il CentroDestra di un 15% abbondante a livello nazionale, ipotesi improbabile. Gia’ con un margine nazionale del 12% a favore di Bersani, il CentroDestra ha ampie possibilita’ di vincere in tutte e 3 le regioni chiave, condannando il CentroSinistra a rimanere sotto di 7-8 seggi al Senato rispetto alla maggioranza assoluta.

SCENARI e NUMERI

Lo scenario piu’ verosimile, e’ quello che vedra’ una polarizzazione del voto su CentroDestra e CentroSinistra, di pari passo con la riduzione degli incerti, e con crescenti appelli al voto utile, penalizzando nel corso della campagna elettorale le formazioni minori, inclusa la coalizione di Monti, e le liste di Grillo ed Ingroia.
Il CentroSinistra assai probabilmente sopravanzera’ di qualche punto percentuale il CentroDestra, vincendo il premio di maggioranza alla Camera, ma verosimilmente, visto l’esiguo vantaggio nazionale, perdera’ non solo in Lombardia, Veneto e Sicilia, ma anche in altre regioni.

Difatti anche la Campania ed il Friuli Venezia Giulia nelle recenti elezioni passate sono realta’ che vedono storicamente il CentroDestra performare meglio rispetto alla media nazionale. Aggiungerei anche la Calabria come regione incerta in caso le coalizioni si avvicinassero: tale regione ha avuto nel passato comportamenti elettorali fortemente oscillanti, ed e’ una regione che tende a premiare le coalizioni che moltiplicano le liste (e questa volta il CentroDestra si presenta con un gran numero di liste).

Conclusioni: nell’ipotesi di cui sopra il CentroSinistra avra’ sui 140-145 senatori, contro i 158 necessari. Vi sara’ una pattuglia di SEL di 12-15 senatori, e 125-135 senatori del PD. La coalizione di Monti dovrebbe ottenere 30-35 senatori, che garantirebbero una buona maggioranza di Centro-CentroSinistra (di 170-180 seggi), ed una maggioranza meno ampia nel caso si sfilasse Vendola (sui 158-165 seggi). Poi si sa, il parlamento e’ luogo di trasformismi. E’ comunque chiaro che la coppia Monti-Casini sta scommettendo proprio su questo risultato, e puntera’ a massimizzare i profitti, e chiedera’ senza dubbio contropartite piuttosto consistenti tanto nei “posti” (e vedremo cio’ subito, a partire dall’elezione della nuova Presidenza della Repubblica, nonche’ delle Presidenze di Camera e Senato, nonche’ nelle nomine dei ministri) quanto nel programma (che proseguira’ l’azione tassaiola e depressiva del governo Monti).
Tale Governo sara’ super-europeista, per cui de facto seguira’ le ricette che deriveranno dagli scontri tra Merkel ed Hollande. Ovviamente sara’ un governo che tifera’ per Hollande e non per la Merkel (quindi per politiche di sviluppo e non di austerity), ma che comunque si adeguera’ alle decisioni Franco-Tedesche.

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lunedì 14 gennaio 2013

0 Produzione industriale: in Italia a Novembre -7,6% annuo e -1,0% mensile, livelli peggiori del 2009


ALTRO COLLASSO A NOVEMBRE PER LA PRODUZIONE INDUSTRIALE

L’ISTAT comunica che a Novembre 2012 l’indice destagionalizzato della produzione industriale è diminuito dell’1,0% rispetto ad ottobre. Nella media del trimestre settembre-novembre l’indice ha registrato una flessione dell’1,7% rispetto al trimestre immediatamente precedente. Corretto per gli effetti di calendario, a novembre l’indice è diminuito del 7,6% in termini tendenziali (i giorni lavorativi sono stati 21 come a novembre 2011). Nella media dei primi undici mesi dell’anno la produzione è stata inferiore del 6,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Gli indici corretti per gli effetti di calendario registrano, a novembre 2012, variazioni tendenziali negative in tutti i raggruppamenti principali di industrie. La diminuzione più marcata riguarda i beni intermedi (-9,8%), ma cali significativi si registrano anche per l’energia (-7,7%), i beni strumentali (-7,2%) e i beni di consumo (-5,6%).  In flessione la produzione in tutti i settori, come si evince dalla tabella di dettaglio.

Commento: prosegue il tracollo iniziato circa 15 mesi fa, a causa del collasso del mercato interno. La produzione industriale ha profilo discendente e va sotto i terrificanti livelli del 2009: in sintesi siamo ai livelli di fine anni 90. Il dato fa presupporre che nel 4 trimestre 2012 vi sara’ un dato pari a circa -2% su trimestre precedente, con ripercussioni sul PIL del 4 trimestre, che dovrebbe calare decisamente di piu’ che nel 3 trimestre (-0,2%).

gpg1 6 Copy 650x901 Produzione industriale: in Italia a Novembre  7,6% annuo e  1,0% mensile, livelli peggiori del 2009

In giornata e’ atteso il dato per la Produzione Industriale complessiva Europea, attesa a -3%.

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domenica 13 gennaio 2013

0 Esclusivo. La Pressione Fiscale effettiva in Italia al 57,2% nel 2012, Record Mondiale.


La pressione fiscale effettiva o legale in Italia nel 2012, cioè quella che in media è sopportata da 1000 euro di prodotto legalmente e totalmente dichiarato, è pari al 57,2% (+2,1% rispetto al 2011): si tratta di un record mondiale. 

La Pressione Fiscale apparente e’ al 47,8% (+1,8% sul 2011) rispetto al PIL.
La Spesa Pubblica nel 2012 sara’ pari al 50,9% (+1,0% sul 2011) rispetto al PIL.
Il valore della pressione fiscale effettiva e’ superiore anche a quello di nazioni notoriamente con Stati sociali pesanti e piu’ efficienti del nostro, ed anche con livelli di evasione fiscale inferiori, quali Danimarca, Svezia e Francia. Il record mondiale dell’Italia nella pressione fiscale effettiva dipende parimenti dall’elevato livello di sommerso economico e dall’elevato livello delle aliquote legali.
Di seguito le elaborazioni grafiche su dati ISTAT dal 2000 al 2012 di:
  • Entrate ed Escite Totali in rapporto al PIL
  • Indebitamento e Saldo Primario in rapporto al PIL
  • Entrate Totali in rapporto al PIL sottraendo il sommerso (Pressione Fiscale Effettiva)
 
gpg1 5 Copy Esclusivo. La Pressione Fiscale effettiva in Italia al 57,2% nel 2012, Record Mondiale.

Avevamo gia’ segnalato nell’articolo Esclusivo – Simulazione della Pressione Fiscale e Contributiva Reale su un Dirigente, un Impiegato ed un Operaio (tra 66 e 77%) che per una serie di figure, quali Operai, Impiegati e Dirigenti la Pressione Fiscale e Contributiva complessiva viaggia tra il 66% ed il 77%.

Costo del Lavoro by GPG Esclusivo. La Pressione Fiscale effettiva in Italia al 57,2% nel 2012, Record Mondiale.

Ovviamente la pressione fiscale complessiva effettiva e’ al 57,2%, perche’ e’ pari alla media di quella:
  • delle Imprese (calcolata da vari studi internazionali mediamente al 68% in Italia e record assoluto Mondiale),
  • dei Lavoratori (calcolata a seconda delle casistiche tra il 64% e l’80%, anche in questo caso Record Assoluto Mondiale),
  • e quella sui Pensionati, Persone assistitite ed altre categorie (che generalmente non hanno contributi previdenziali da versare e perfanto sono soggetti a pressione fiscale inferiore).


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sabato 12 gennaio 2013

0 Consumi Energia Elettrica: nuovo tonfo a Dicembre. Il 2012 secondo anno peggiore di sempre: la domanda torna ai valori del 2004


IL 2012 SI CHIUDE A -2,8%: A PASSO DI GAMBERO I CONSUMI CHE TORNANO AI VALORI DI 8 ANNI FA

Dopo due anni di crescita, nel 2012 i consumi di elettricità in Italia tornano a scendere. I primi dati provvisori elaborati da Terna sul fabbisogno di energia elettrica nell’anno appena concluso, fanno segnare una flessione del 2,8% rispetto al 2011: si tratta del calo più consistente da inizio secolo dopo quello del 2009, quando il decremento sull’anno precedente fu pari al 5,7% (vedi Tabella a p.2). Il totale dell’energia richiesta in Italia nel 2012 ammonta a 325,3 miliardi di kilowattora, attestandosi sullo stesso livello di domanda del 2004. A parità di calendario, la diminuzione è del 3,1% in considerazione del fatto che il 2012 ha avuto un giorno lavorativo in più perché bisestile.
Nel corso dell’anno, la dinamica della domanda s’e’ via via deteriorata, come vedete dal grafico allegato.

REGGE SOLO LA LOMBARDIA, CROLLANO SARDEGNA (CAUSA ALCOA) E NORD OVEST

A livello territoriale si registrano crolli in Sardegna (-10,3%) e nella macroarea del Nord-Ovest composta da Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta (-7,7%), mentre in Lombardia la domanda cresce.

BOOM DELLE FONTI EOLICHE E FOTOVOLTAICHE CHE DA SOLE RAPPRESENTANO L’11% DELLA PRODUZIONE

Secondo le prime stime, nel 2012 la domanda di energia elettrica è stata soddisfatta per l’86,8% con produzione nazionale (di cui 62,2% termoelettrica, 13,3% idroelettrica, 1,6% geotermica, 4,0% eolica e 5,6% fotovoltaica) e per la quota restante (13,2%) dal saldo dell’energia scambiata con l’estero. In dettaglio, la produzione nazionale netta (284,8 miliardi di kWh) è in diminuzione del 2,3% rispetto al 2011; in forte aumento le fonti di produzione eolica (+34,2%) e fotovoltaica (+71,8%), in calo le fonti idroelettrica (-8,2%), termoelettrica (-6,3%) e geotermica (-1,4%).

gpg1 4 Copy Consumi Energia Elettrica: nuovo tonfo a Dicembre. Il 2012 secondo anno peggiore di sempre: la domanda torna ai valori del 2004.

A DICEMBRE -3,6% LA DOMANDA

Per quanto riguarda invece il mese di dicembre 2012, la quantità di energia elettrica richiesta in Italia, pari a 26,6 miliardi di kWh, ha fatto registrare una flessione del 3,6% rispetto a dicembre dello scorso anno. Depurata dagli effetti di temperatura e calendario, la variazione della domanda elettrica di dicembre 2012 diventa tuttavia -3,9%. Rispetto al corrispondente mese di dicembre del 2011, si è infatti avuto un giorno lavorativo in meno (19 vs 20) e una temperatura media mensile di circa un grado e mezzo inferiore. I 26,6 miliardi di kWh richiesti nel mese di dicembre 2012 sono distribuiti per il 45,2% al Nord, per il 29,7% al Centro e per il 25,1% al Sud.

A DICEMBRE TENGONO LOMBARDIA, EMILIA E TOSCANA, MALE TRIVENETO, NORD-OVEST E CENTRO-SUD, UN APOCALITTICO -22% IN SARDEGNA

A livello territoriale, la variazione della domanda di energia elettrica a dicembre 2012 si è articolata in maniera differenziata sul territorio nazionale: -2,5% al Nord, -3,1% al Centro e -6,1% al Sud.

A DICEMBRE BOOM DELLE RINNOVABILI, CROLLO DELLE FONTE TERMOELETTRICA (-10,6%) E DELL’IMPORT (-11,7%)

Nel mese di dicembre 2012 la domanda di energia elettrica è stata soddisfatta per un 85,9% con produzione nazionale e per la quota restante (14,1%) dal saldo dell’energia scambiata con l’estero. In dettaglio, la produzione nazionale netta (23,1 miliardi di kWh) è calata di un -2,6% rispetto a dicembre 2011. Sono in crescita le fonti di produzione idrica (+34,5%), eolica (+18,6%) e fotovoltaica (+13,3%). Sono in flessione le fonti termoelettrica (-10,6%) e geotermica (-4,2%).
In termini congiunturali, la variazione destagionalizzata della domanda elettrica di dicembre 2012 rispetto al mese precedente è stata pari a +0,5%. Il profilo del trend si mantiene su un andamento negativo.

gpg1 3 Copy 650x716 Consumi Energia Elettrica: nuovo tonfo a Dicembre. Il 2012 secondo anno peggiore di sempre: la domanda torna ai valori del 2004.

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venerdì 11 gennaio 2013

0 Catastrofe – Disoccupazione: a Novembre 2012 sfonda l’11,8% nell’Eurozona, ed il 26,6% in Spagna (in Italia 200.000 persone hanno perso il posto negli ultimi 4 mesi) – Tutti i dati


DISOCCUPAZIONE: NELL’UNIONE EUROPEA 26 MILIONI DI DISOCCUPATI (+10 MILIONI DA INIZIO CRISI)

Eurostat comunica che il tasso di disoccupazione sale ancora nell’Eurozona all’11,8% a Novembre 2012 (10,6% un anno fa).
Come si vede la disoccupazione sale nell’Europa periferica e scende in alcune nazioni del Nord Europa: Spagna 26,6% (+3,6% in un anno), Grecia 26,0% (+7,1%), Portogallo 16,3% (+2,2%), Italia 11,1% (+1,8%), Francia 10,5% (+0,7%), UK 7,8% (-0,5%), Germania 5,4% (-0,2%).
Qui presentiamo grafici e dati in dettaglio.

gpg1 2 Copy 650x958 Catastrofe   Disoccupazione:  a Novembre 2012 sfonda l11,8% nellEurozona, ed il 26,6% in Spagna (in Italia 200.000 persone hanno perso il posto negli ultimi 4 mesi)   Tutti i dati

ITALIA: STABILE LA DISOCCUPAZIONE ALL’11,1% (37% GIOVANILE),
MA PERSI 200.000 OCCUPATI NEGLI ULTIMI 4 MESI

A novembre 2012 gli occupati sono 22 milioni 873 mila, in diminuzione dello 0,2% sia rispetto a ottobre (-42 mila) sia su base annua (-37 mila). Persi ben 200.000 occupati negli ultimi 4 mesi.
Il tasso di occupazione, pari al 56,8%, è in diminuzione di 0,1 punti percentuali nel confronto congiunturale e invariato rispetto a dodici mesi prima.
Il numero di disoccupati, pari a 2 milioni 870 mila, registra un lieve calo (-2 mila) rispetto a ottobre. La diminuzione della disoccupazione riguarda la sola componente femminile. Su base annua la disoccupazione cresce del 21,4% (+507 mila unità). Il tasso di disoccupazione si attesta all’11,1%, invariato rispetto a ottobre e in aumento di 1,8 punti percentuali nei dodici mesi.
Tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 641 mila e rappresentano il 10,6% della popolazione in questa fascia d’età. Il tasso di disoccupazione dei 15- 24enni, ovvero l’incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 37,1%, in aumento di 0,7 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 5,0 punti nel confronto tendenziale.

gpg1 2 Catastrofe   Disoccupazione:  a Novembre 2012 sfonda l11,8% nellEurozona, ed il 26,6% in Spagna (in Italia 200.000 persone hanno perso il posto negli ultimi 4 mesi)   Tutti i dati

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giovedì 10 gennaio 2013

0 Export: l’Italia inizia a recuperare a novembre 2012 quote di mercato sulla Germania


A NOVEMBRE LA BILANCIA COMMERCIALE TEDESCA RESTA IN FORTE ATTIVO

In Germania il surplus della bilancia commerciale destagionalizzato si e’ attestato a novembre a 14,6 miliardi di euro, dai 14,9 di ottobre. E’ quanto rende noto l’ufficio di statistica Destatis. Rispetto al mese di ottobre le esportazioni sono diminuite del 3,4% a 94,1 miliardi di euro e le importazioni del 3,7% a 77,1 miliardi. Il surplus delle partite correnti ha registrato in novembre un avanzo di 15,3 miliardi di euro a fronte di un avanzo di 16,1 miliardi di euro del novembre 2011.
A Novembre 2012 l’export grezzo e’ invariato rispetto a novembre 2011, mentre l’import fa -1,2%.
L’andamento e’ pero’ contrastante: l’export extra-UE fa +5,6% e l’import extra-UE -4,9%.
Peggiora fortemente il saldo col resto d’europa: export -4,0%, import +0,9%, e certamente il grosso del peggioramento e’ causato dagli interscambi con l’Italia (come avvenuto nei mesi precedenti).

Commento: I dati di cui sopra sono perfettamente logici: la Germania migliora il saldo extra-europeo (a causa della piccola svalutazione dell’euro nei 12 mesi e dell’andamento migliore dell’economia extra-europea rispetto a quella tedesca), mentre peggiora quello intra-europeo (a causa dell’austerity imposta ai paesi mediterranei)

ForeignTradeStart11 Export: lItalia inizia a recuperare a novembre 2012 quote di mercato sulla Germania

L’ITALIA GIA’ DA 2 MESI CONQUISTA QUOTE DI EXPORT EXTRA-UE ALLA GERMANIA

C’e’ pero’ una novita’: la Germania che per diversi anni ha avuto un andamento migliore dell’export rispetto alla media Europea ed all’Italia, specialmente per la componente extra-UE, gia’ da 2 mesi vede andamenti decisamente peggiori rispetto all’Italia stessa nell’export verso Asia, Americhe e resto del mondo.
Qui i dati dell’export extra-UE di Germania, Italia e UE-27 che sono autoesplicativi, e vedono la Germania fare meglio dell’Italia fino a Luglio 2012, mentre ad Ottobre e Novembre l’Italia ha avuto un andamento dell’export extra-UE decisamente migliore.

Commento: se son rose fioriranno, ma prima di dire che la tendenza e’ consolidata aspetterei. Perche’ accade cio? Probabilmente c’e’ un effetto disperazione (le imprese italiane si sono maggiormente organizzate esportando per compensare il tracollo del mercato interno) ma forse c’e’ anche una causa connessa al costo del lavoro per unita’ di prodotto (l’Italia nel 3 trimestre 2012 ha avuto aumenti inferiori a quelli tedeschi, e quindi nonostante le imprese litighino con una burocrazia asfissiante, sono tornate maggiormente competitive, e cio’ ha risfessi nell’export)


export extraUE gpg Export: lItalia inizia a recuperare a novembre 2012 quote di mercato sulla Germania

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mercoledì 9 gennaio 2013

0 Il Grafico del giorno: la Disoccupazione reale al 22% in Italia (33% Spagna, 16% Francia e UK, 13% Germania)


Presentiamo in questa slide tratta dal sito Real-World Economics Review Blog un grafico sulla disoccupazione reale in Europa nel 2011.
  • La disoccupazione dichiarata dagli istituti di statistica (U3) e’ evidenziata in azzurro ; in sintesi vengono censiti unicamente coloro che non hanno un’attivita’, cercano lavoro, sono disponibili immediatamente ed hanno anche un “minijob” di poche ore a settimana
A tale voce sarebbe corretto aggiungere altre 3 voci:
  • I minijob o lavori involontariamente Part Time, spesso  assistiti e sostenuti dallo Stato (colore rosso); in sintesi gente sotto-occupata che fa poche ore di lavoro alla settimana
  • I disoccupati che sono disponibili a lavorare ma che non cecano lavoro perche’ sfiduciati (colore verde)
  • I disoccupati che cercano un lavoro ma che per una ragione o l’altra non possono iniziare immediatamente a lavorare in caso trovino (colore nero)
Cosa sono costoro se non disoccupati?
Qui il grafico:

gpg disoccupazione Il Grafico del giorno: la Disoccupazione reale al 22% in Italia (33% Spagna, 16% Francia e UK, 13% Germania)

Si deduce quanto segue:
  • In GERMANIA la disoccupazione reale e’ al 13% (e non al 6%); qui e’ evidente l’enorme numero di “sotto-occupati“, i cosidetti “minijob”. Stessi fenomeni in FRANCIA e REGNO UNITO, dove la disoccupazione reale e’ sul 16-17% (e non al 10% e 8%)
  • In ITALIA la disoccupazione reale e’ al 22% (e non al 9%), dato che a fine 2012 dovrebbe essere sul 24%; l’Italia e’ la nazione che piu’ di qualnque altra, de facto, tarocca i dati, e la cosa si intuisce guardando i dati sull’occupazione; qui e’ enorme in numero di “scoraggiati
  • In SPAGNA la disoccupazione reale e’ al 33% (e non al 22%), dato che a fine 2012 dovrebbe essere sul 35%; c’e’ poco da aggiungere
In estrema sintesi nell’Unione delle Repubbliche Socialiste d’Europa la disoccupazione reale media sta sul 18-20%.
Per chi volesse dilettarsi in dati e tabelle vi rimando a quest’articolo che feci qualche mese fa: DISOCCUPAZIONE REALE (esclusiva per i lettori di RC): EUROPA 17,0%, ITALIA 19,8%, MEZZOGIORNO 33,8%

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martedì 8 gennaio 2013

0 L’Indicatore Anticipatore Eurocoin a Dicembre a -0,27, conferma che il PIL dell’Area Euro nel 4 trimestre sara’ decisamente negativo


Pochi conoscono l’indicatore del ciclo economico dell’area dell’euro elaborato nella Banca d’Italia in collaborazione con il CEPR, New Eurocoin , che è una misura sintetica e tempestiva dello stato della congiuntura nell’area. Reputo questo indicatore il piu’ azzaccato nella stima in anticipo del PIL dell’area EURO.
L’indicatore e’ negativo da 15 mesi consecutivi, rende noto la Banca d’Italia. In dicembre €-coin si è attestato a -0,27% (esattamente come ad ottobre e novembre).
Il risultato riflette le valutazioni di famiglie e imprese, rilevate dalle inchieste congiunturali, che comunque restano nel complesso ancora sfavorevoli, anche se segnali di miglioramento vengono dai mercati finanziari, mentre resta pesante la situazione manifatturiera. 

chart1 650x400 LIndicatore Anticipatore Eurocoin a Dicembre a  0,27, conferma che il PIL dellArea Euro nel 4 trimestre sara decisamente negativo


Di seguito ho tradotto i dati dell’indicatore Eurocoin, trimestralizzando ed annualizzando i dati, e parimenti ho fatto col PIL.

 eurocoindicgpg LIndicatore Anticipatore Eurocoin a Dicembre a  0,27, conferma che il PIL dellArea Euro nel 4 trimestre sara decisamente negativo



CONCLUSIONI

Stima PIL Zona Euro del 4° Trimestre 2012:  il PIL dovrebbe essere avere un dato tra -0.5% e -0.8% sul 4° Trimestre 2011 (per l’Italia resteremo sul -2,0/-2,4% circa).
Restiamo in piena recessione  su scala Europea. Ricordo ai lettori che negli ultimi 17 anni, l’Italia ha sempre avuto una crescita tra lo 0,7% e 1,0% inferiore rispetto alla media Euro, ora siamo sotto di quasi il 2%, vista la manovra profondamente recessiva varata dal governo Monti


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lunedì 7 gennaio 2013

0 La Tenaglia degli Avvoltoi sull’Argentina (di Johnny88 e GPG Imperatrice)


PARTE 1 – ARGENTINA, CONOSCERE IL PASSATO PER CAPIRE IL PRESENTE

PREMESSA

Ritengo che spesso si fotografi il momento, arrivando a conclusioni affrettate e stereotipate senza prima fermarsi e guardare un attimo indietro, ritengo quindi doveroso affrontare la questione Argentina andando al di là di facili slogan demagogici. La stessa operazione andrebbe fatta anche per quanto riguarda la Grecia e gli altri paesi attualmente sofferenti crisi (Irlanda; Spagna; Portogallo e Italia), così come anche per capire le ragioni del comportamento della Germania al di là di semplicistiche demagogie e offese gratuite.
Parlando in questo caso specifico dell’Argentina, parliamo di un paese che un tempo nemmeno troppo lontano era considerato una sorta di “Terra Promessa”. Parliamo di un paese che agli albori del XX Secolo figurava tra i primi 10 al mondo per reddito pro-capite, mentre oggi nella stessa classifica occupa il 52° posto. L’Argentina può quindi giustamente essere definita “La grande sconfitta del ’900″ e ritengo doveroso cercare di fare mente locale sulle numerose convulsioni storiche e politiche che hanno portato a questo lungo declino e alle periodiche “montagne russe” che caratterizzano questa terra tormentata.

1806-1862-L’INDIPENDENZA E LA LUNGA STRADA VERSO L’UNITA’

San Martin 230x300 La Tenaglia degli Avvoltoi sullArgentina (di Johnny88 e GPG Imperatrice)
Josè de San Martin


I primi insediamenti coloniali nella terra attualmente nota come “Argentina” risalgono alla prima metà del XVI secolo. Precisamente la colonizzazione spagnola cominciò nel 1535 ad opera del generale Pedro de Mendoza, colonizzazione che seguì le prime esplorazioni da parte del navigatore spagnolo Juan Diaz de Solis (1516) e dell’italiano Sebastiano Caboto (1526). Già nel XVII secolo cominciò ad emergere in maniera prepotente il primato economico della città di Buenos Aires. Inizialmente l’Argentina faceva parte del vicereame del Perù, ma nel 1776 venne incorporata nel vicereame autonomo de “La Plata” di cui Buenos Aires diviene la capitale ufficiale. A seguito della deposizione di re Ferdinando VII da parte delle truppe bonapartiste la popolazione locale non riconobbe come legittimo il nuovo monarca spagnolo e dichiarò così la propria indipendenza deponendo il vicerè Cisneros. I paesi di dipendenza spagnola (diverso il discorso del Brasile che si incamminò verso l’indipendenza in maniera pacifica e completamente diversa, ma questa è un’altra storia) ritennero il loro vincolo con la corona sciolto da quando il trono di Spagna era finito nelle mani dell’usurpatore Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone. Anche a Buenos Aires, nacque una “Junta” transitoria. Emersero però subito contrasti tra chi attendeva il ritorno de “El deseado”, Ferdinando VII di Borbone, e chi invece voleva giungere a una piena indipendenza anche in caso di ritorno del sovrano spodestato. “El deseado” torna nel 1814 e chi l’aveva tanto “deseado” in Sudamerica finì per pentirsene. Ferdinando dichiarò decaduta la costituzione di Cadice, stilata dalla resistenza antinapoleonica con il contributo di delegati latinoamericani, e inviò le truppe in America Latina per riprendere pieno possesso delle colonie sciogliendo forzatamente le varie giunte anti-napoleoniche. Nel 1816 le “Province Unite”, embrione della futura Argentina, sconfiggono gli spagnoli. Il leggendario generale Josè de San Martin prende  la testa del movimento indipendentista dell’intero Sudamerica liberando dalla Spagna Cile e Perù, finendo per incontrandosi a Guayaquil con Simon Bolivar, l’altro grande eroe dell’indipendenza del Sudamerica. Fin da subito però non regna certo l’armonia in quel di Buenos Aires. I novelli sudditi delle Province Unite si mettono a litigare praticamente subito dopo l’indipendenza. Tra 1819 e 1829 e comincia una vera e propria guerra civile tra i federalisti, gli estancieros, e i centralisti, gli unitarios. I primi conservatori, legati alla Chiesa cattolica, difensori dei diritti delle province, i secondi accentratori, liberali e massoni, legati all’elite urbana di Buenos Aires, un contrasto che sembra una sorta di prodromo alla guerra di secessione americana. Il periodo dell’anarchia costò caro alla futura Argentina che perse l’Uruguay. L’anarchia si concluse con l’ascesa al potere del caudillo De Rosas nel 1829, cattolico tradizionalista e conservatore. Ironia della sorte fu un esponente degli estancieros come il caudillo De Rosas ad accentrare definitivamente il potere a Buenos Aires e ad aprire la strada alla definitiva unione dell’Argentina. Nel 1852 De Rosas viene rovesciato dal generale Justo Urquiza, anch’egli esponente conservatore. Urquiza proclama la costituzione  della repubblica argentina. Tutto bene e tutti in pace felici e contenti finalmente? ¡Claro que no! A Buenos Aires non va proprio giù e nel 1854 la provincia della futura capitale si stacca proclamando l’indipendenza, è guerra. Nel 1859 Buenos Aires si arrende ma nel 1861 la provincia si ribella nuovamente. La ribellione viene sedata dal generale liberale Mitrè. Buenos Aires nel 1862 è finalmente costretta ad accettare il suo ruolo di capitale dell’Argentina (a proposito, auguri per il 150°). Nel 1880 Buenos Aires verrà “staccata” dalla sua provincia, diventando il “distretto federale” di Buenos Aires.

1862-1916 I GOVERNI LIBERALI E LA PROSPERITA’ ECONOMICA


Emigranti nel porto di Buenos Aires 1912 441x300 La Tenaglia degli Avvoltoi sullArgentina (di Johnny88 e GPG Imperatrice)
Emigranti a B. Aires

Finalmente l’Argentina è unita e compatta. Ora il potere è in mano ai liberali che cominciano a plasmare lo stato argentino dotando la repubblica di un moderno sistema giudiziario, scolastico e di trasporti. Tra il 1865 e il 1870 la repubblica deve affrontare un sanguinoso conflitto col Paraguay, vinto grazie all’alleanza con Uruguay e Brasile. I governi liberali portano inoltre a termine la colonizzazione della Pampa tramite le cosiddette “guerre del deserto” in cui la popolazione indigena viene barbaramente sterminata. Nel 1880 comincia l’impetuoso sviluppo economico, trainato dalle esportazioni di grano e carne, che porta l’Argentina a diventare in breve tempo uno dei paesi più ricchi al mondo. Tra il 1880 e il 1914 il PIL argentino cresce mediamente del 5% all’anno e l’Argentina diventa la Terra Promessa. Quattro milioni di immigrati dall’Europa, principalmente da Italia e Spagna, si riversano nel paese sudamericano provocando un mutamento profondo nel tessuto sociale di Buenos Aires e provincia. L’Argentina entra di filato tra le prime 10 potenze economiche del mondo.
In quegli stessi anni comincia il controverso legame tra Argentina e Regno Unito. L’Argentina ha bisogno di capitali e li va a chiedere alla più grande potenza europea dell’epoca. I capitali britannici penetrano come un fiume in piena nella giovane repubblica, in cambio delle materie prime che l’Argentina riversa nel Regno Unito. Quello di Londra però comincia a diventare quasi un vero e proprio colonialismo economico. Gli inglesi possiedono il monopolio o quasi di: ferrovie; linee di comunicazione; banche e stabilimenti della carne
Non è però tutto oro quel che luccica. Gli squilibri interni tra una Buenos Aires sempre più potente e una periferia preda del latifondismo estancieros sono evidentissimi. Le “campagne nel deserto” non sono riuscite a creare una classe media rurale in grado di spezzare il dominio delle vecchie oligarchie agrarie. La struttura economica dell’argentina del boom presenta quindi diverse criticità
-La periferia priva di una media borghesia rurale e dominata in maniera stabile dalla vecchia oligarchia creola
-Buenos Aires e provincia inondate da un proletariato di origine europea che presto farà sentire la sua voce e che si ammassa nella capitale e nei suoi sobborghi
-Il settore trainante dell’esportazione di materie prime è completamente succube agli interessi di Londra
-L’economia si basa troppo sull’esportazione ed è quindi ostaggio delle fluttuazioni del mercato internazionale
Dal punto di vista politico il dominio dell’oligarchia liberale, che trova espressione nel PAN (Partido Autonomista Nacional) comincia ad essere minato dall’emersione dell’Union Civica Radical. L’UCR, tuttora esistente, è un tipico partito sudamericano, ovvero una grande tenda contraddittoria difficilmente catalogabile a livello ideologico. In linea di massima i radicali tentano di portare avanti un’alleanza tra il ceto medio di Buenos Aires, escluso dalle leve del potere e la classe bassa. L’UCR nei primi anni si da alla lotta armata contro il dominio Panista. L’UCR riesce finalmente ad entrare nel gioco del potere dopo il 1912 quando la ley Saenz Peña garantisce il suffragio universale maschile e la segretezza del voto.  Nel 1916 viene eletto alla presidenza un esponente radicale, Hipolito Yrigoyen

1916-1930 I GOVERNI RADICALI E IL CROLLO DI WALL STREET

hipolito yrigoyen 231x300 La Tenaglia degli Avvoltoi sullArgentina (di Johnny88 e GPG Imperatrice)
Hipolito Yrigoyen
L’elezione di Yrigoyen segnò l’avvio di un lungo dominio radicale sulla vita politica argentina. Yrigoyen, rappresentante un’alleanza tra ceto medio e ceto basso urbano si impegna in politiche di riforma sociale. Tramite sussidi alle piccole fattorie tenta di creare una classe media rurale che scardini il latifondismo degli estancieros, si pone vicino ai sindacati operai, all’epoca dominati dagli anarchici, e riforma l’istruzione universitaria.
Gli anni dell’abbondanza però cominciano a finire e la composita coalizione di Yrigoyen comincia a scricchiolare. La I Guerra Mondiale cui l’Argentina non prenderà parte, toglie all’economia del paese lo sbocco naturale dell’Europa impegnata nel sanguinoso conflitto. Disoccupazione e inflazione cominciano a diventare un grosso problema che esplode tra il 1918 e il 1919. In quel biennio le strade di Buenos Aires sono nel caos. Scioperi, disordini e violenze che contrappongono anarchici e nazionalisti costringono Yrigoyen a reagire con la forza e a reprimere i disordini nel sangue. Il grande leader populista è costretto a sparare contro i suoi stessi elettori. 
Nei primi anni ’20 l’economia torna a girare ma il ricordo della repressione porta i sindacati dal dominio anarchico al dominio marxista. I sindacati diventano così una classica “cinghia di trasmissione” di consensi per il partito socialista e il partito comunista. 
I conservatori e il ceto medio chiedono ai radicali politiche di austerità e rigore fiscale, viene quindi eletto alla presidenza Manuel Alvear esponente dell’ala conservatrice dell’UCR.  Alvear si impegna quindi in politiche di tagli alla spesa pubblica e di protezionismo mercantile. Le contraddizioni della grande tenda radicale cominciano a emergere. Nel 1928 l’UCR si spacca, Yrigoyen si ricandida ma l’ala destra, denominata “UCR anti-personalista” non lo appoggia e va da sola. Yrigoyen trionfa ma è un fuoco di paglia perché sulla sua seconda presidenza cade la tegola del crollo di Wall Street.
La tegola è micidiale per l’economia argentina che versa in uno stato pietoso. Per le strade tornano le faide tra gruppi politici. Anarchici; nazionalisti, radicali anti-personalisti; marxisti e sostenitori di Yrigoyen si scontrano tra loro. La situazione dgenera e l’esercito interviene per riportare l’ordine. E’ il 1930 e il generale Uriburu compie il primo golpe del ’900 argentino. Sarà il primo di una lunga serie

1930-1943 IL PRIMO GOLPE MILITARE E LA “DECADE INFAME”

L’ingerenza delle forze armate nell’agone politico e il periodico succedersi di colpi di stato è stato a lungo un tratto peculiare della politica sudamericana nel ’900. Una tendenza che solo negli ultimi quindici-venti anni ha cominciato a venir meno. Nel caso argentino la tendenza all’intervento costante e pervasivo dei militari nella politica comincia per l’appunto nel 1930. Le forze armate cominciano quindi a comportarsi come un soggetto politico autonomo. In realtà i militari non hanno una visione politica comune e sono troppo divisi a livello ideologico per mantenere a lungo il potere nel 1930.  L’unica cosa che li muove è l’odio per Yrigoyen e per il suo populismo. Dopo pochi mesi, ristabilito l’ordine, la giunta di Uriburu lascia il potere e fa ripartire il paese. 
I militari però continuano a svolgere un ruolo di “tutela” per impedire il ritorno dei radicali organizzando sistematiche e macroscopiche frodi elettorali a favore della coalizione conservatrice della “Concordancia”. Il continuo ricorso alla frode elettorale farà cadere sui governi della Concordancia (1932-43) il bollino di “decade infame”.
La “Concordancia” è una coalizione composta da nazionalisti, conservatori e radicali anti-personalisti. I governi della “Concordancia” si impegnano in misure di austerità per rientrare dal deficit e onorare il debito estero. Viene creata la banca centrale e introdotta l’imposta sul reddito. La Grande Depressione che si abbatte sull’economia globale rischia di far perdere all’Argentina il suo principale partner commerciale, l’Inghilterra. Il governo argentino firma quindi il trattato Roca-Runciman nel 1933 per riuscire a tenere aperto lo sbocco britannico ai prodotti argentini e sfuggire così alla “preferenza del Commonwealth” varata dal governo di Sua Maestà l’anno precedente. 
L’Argentina riesce a uscire dalla crisi dopo pochi anni grazie alle politiche di attrazione di capitali esteri, ma il consenso politico della Concordancia, come abbiamo già detto, è fasullo e si regge sulla frode elettorale. I ceti medio-bassi cominciano a guardare con simpatia al nascente nazionalismo. Il trattato Roca-Runciman provoca sentimenti fortemente anti-anglosassoni e comincia a crearsi l’humus sociale e culturale che porterà alla nascita del peronismo.  La retorica nazionalista e anti-britannica comincia a prendere piede tra le masse urbane di classe media e bassa le  quali sono alle prese con l’inefficienza del sistema dei trasporti locali, un sistema che è un monopolio britannico. I britannici, padroni del sistema di trasporti argentino fanno di tutto per mantenere il monopolio e chiedono al governo interventi per schiacciare la concorrenza di piccoli bus privati argentini. Come se non bastasse emergono scandali di evasione fiscale riguardanti le industrie di confezionamento della carne. E chi è proprietaria di queste industrie? Sempre lei, la perfida Albione. Intellettuali nazionalisti e cattolici mettono sotto accusa il sistema libero-scambista e il capitalismo. Cattolici e nazionalisti avvisano dell’imminente questione sociale che pende come una spada di Damocle sull’Argentina. La idee nazional-cattoliche trovano sempre più appoggio nelle nuove masse urbane che negli anni ’30 hanno cominciato ad affollare Buenos Aires e Provincia. Nuove masse che vengono dalla campagna, da una migrazione interna che ha ingrossato il distretto federale e i suoi sobborghi. Un nuovo proletariato che sfugge ai partiti socialisti e comunisti e che costituirà il nerbo dell’epopea peronista. 
La retorica nazional-cattolica anti-britannica riporta in auge gli sgambetti passati della perfida Albione, ovvero le Malvinas/Falkalnd e la secessione dell’Uruguay sponsorizzata da Londra. Il nazionalismo economico comincia a prender forma. La classe intellettuale argentina chiede una forte politica industriale e di produzione interna per essere al riparo dagli sconvolgimenti esterni. Questa retorica è fortemente critica sia del liberismo di stampo anglo-sassone che del comunismo sovietico. Entrambe sono visti come disgregatori della comunità, figli di culture straniere. Figlio del protestantesimo il primo e dell’ateismo il secondo. I nazionalisti e i cattolici dell’Argentina anni ’30 quindi sono nostalgici della vecchia Argentina comunitaria e cattolica, una vecchia Argentina distrutta dai dogmi del liberal-capitalismo protestante e anglosassone. E’ un passaggio importante da comprendere per capire non solo l’Argentina ma tutta l’America Latina. Perché queste idee anti-capitaliste ma allo stesso tempo anti-marxiste riemergono periodicamente in tutto il continente. Le forme sono magari differenti, ma la sostanza è quella. Il rifiuto e l’ostilità verso una società, quella capitalista, che è vista come estranea al modello comunitario dell’America Latina pre-indipendenza
Irrompe in questo scenario la Seconda Guerra Mondiale. Ancora una volta i mercati europei si chiudono per l’Argentina e si chiude per l’Argentina anche l’importazione di tecnologie dall’Occidente. L’Argentina è restia a entrare in conflitto con le potenze dell’Asse, la “Concordancia” si regge solo grazie ai brogli e alla tutela dell’esercito, esercito che è in larga parte filo-fascista. La neutralità argentina infastidisce gli Stati Uniti che tagliano fuori il paese dalle forniture di armi. Altra benzina sul fuoco nazionalista. 

1943-1946 IL GOLPE DEL GOU E L’ASCESA DI PERON

E arriviamo al golpe del ’43. Il governo Castillo è deposto dai militari del GOU (Grupos de Oficiales Unidos). Nella giunta militare si fa subito largo il colonnello Juan Domingo Peron che ricopre il ruolo di ministro del lavoro prima, della guerra poi e vice-presidente infine. Peron ritiene che la rivoluzione socialista sia a un passo e per fermarla ci sia solo un modo, ovvero portare il movimento sindacale all’interno dello stato. Solo una politica sociale che innalzi lo status della classe proletaria può evitare la rivoluzione sottraendo così il proletariato alle sirene social-comuniste. Al ministero del lavoro Peron promuove quindi politche sociali per le classi operaie. Incontra i sindacati, ne ascolta le ragioni e le richieste. Promuove quindi politiche a favore della classe proletaria: pensioni, assicurazioni contro infortuni e malattia, ferie retribuite, tutele per la maternità e le famiglie operaie, progetti di edilizia popolare. Gli operai acclamano Peron che comincia a tessere la sua tela e a organizzare i tre pilastri che ne sosterranno l’ascesa: l’esercito, la Chiesa cattolica e il sindacato.
Nel contempo, sotto la spinta di Peron ora ministro della guerra, l’Argentina spezza l’isolamento internazionale dichiarando guerra all’Asse. Gli Stati Uniti finalmente scongelano i rapporti e inviano l’ambasciatore a Buenos Aires, Spruille Braden. Braden è il più grande regalo che gli Stati Uniti potessero fare a Peron. Braden è sostanzialmente la versione argentina di Clare Boothe Luce (per chi non la conoscesse, l’ambasciatrice americana che minacciò di togliere l’Italia dal piano Marshall se alle elezioni del ’53 la coalizione di De Gasperi non fosse riuscita a far scattare la “Legge-Truffa”) più parla trasudando il suo tracotante imperialismo, più Peron guadagna punti, esattamente come in Italia dove più Clare Boothe Luce parlava e più Togliatti brindava. Gli Stati Uniti non cessano di vedere Peron come fumo negli occhi e i partiti tradizionali, che si stanno riorganizzando in vista delle elezioni proclamate dal presidente Farrell per il 1946, pure. Peron è un residuato anacronistico del fascismo secondo gli USA. Nel 1945 la parabola di Peron sembra al termine quando, a seguito di continue manifestazioni dell’opposizione e di pressioni americane, viene arrestato e condotto al confino. Ma proprio nel momento in cui Peron sembra finito emerge il suo popolo.
La classe operaia reagisce e occupa Plaza de Mayo chiedendo il rilascio di Peron. Il popolo dei “descamisados” gli operai e i proletari acclamano il loro leader, Farrell è messo alle strette ed è costretto a scarcerare Peron che si mostra al suo popolo. Si preparano le elezioni del 1945 la vecchia casta politica, radicali conservatori e marxisti, sono tutti uniti contro Peron nell’Union Democratica, Union Democratica spudoratamente spalleggiata da Washington. Peron dall’altra parte è solo? No, come abbiamo già detto dietro di lui ci sono l’esercito, ormai convinto da Peron, la Chiesa cattolica e il sindacato della CGT (Confederacion General do Trabajo). Braden, ritornato a Washington D.C., da all’opposizione il “Libro Azul” in cui, con una raccolta di documenti, tenta di dimostrare i legami di Peron con le potenze dell’Asse. E’ un autogol clamoroso, Peron prende la palla al balzo e accusa l’Union Democratica e il suo candidato, Tamburini, di essere l’espressione di interessi stranieri e delle vecchie oligarchie e pubblica il “Libro Azul y Blanco”, come i colori del vessillo argentino, in cui smentisce le accuse del dipartimento di stato USA. E’ il trionfo, Peron viene eletto presidente col 53% dei voti

1946-1955 IL PERONISMO (FONDAMENTALE!)

peron La Tenaglia degli Avvoltoi sullArgentina (di Johnny88 e GPG Imperatrice)
Juan Domingo Peron
Peron si insedia quindi alla Casa Rosada, la sua linea ideologica si basa su una piena sovranità poltica, la giustizia sociale e l’indipendenza economica. Peron è ferocemente avverso sia al liberismo anglo-americano sia al collettivismo sovietico. Questa idea Peron la mantiene anche in politica estera sostenendo che i paesi latini e cattolici sia dell’America che dell’Europa debbano fare fronte comune per fornire una “terza posizione” alternativa ai due blocchi contrapposti. Il primo mandato di Peron (’46-’51) è florido di successi economici, l’Argentina cresce dell’8% all’anno, i consumi del 14% all’anno, il potere d’acquisto sale del 40%, la bilancia dei pagamenti e la bilancia commerciale sono in costante attivo, il debito pubblico crolla.
Il governo di Peron si impegna in opere di nazionalizzazione, espansione del credito e controllo del commercio estero. L’amministrazione peronista si impegna quindi ad eliminare la dipendenza dalle esportazioni di materie prime e dalle importazioni di macchinari e tecnologie promuovendo una forte opera di industrializzazione e nazionalizzazione. Vengono nazionalizzate: telefoni, gas, porti, trasporti e ferrovie. Viene varato il fiore all’occhiello del peronismo, lo IAPI (Istitudo Argentino de Promocion Intercambio) che compra e rivende prodotti agricoli sul mercato mondiale. Durante questi anni la classe bassa comincia un’ascensione verso la classe media, tanto che nelle case argentine compaiono gli elettrodomestici. Pensate, in Italia e Germania gli elettrodomestici diventeranno di massa solo negli anni ’60, in Argentina arrivano prima degli anni ’50. In politica estera Peron continua a perseguire la linea della “Terza Posizione” rifiutando di allinearsi completamente al Blocco Atlantico, ma anzi aprendo i rapporti con l’URSS.

Evita Peron 207x300 La Tenaglia degli Avvoltoi sullArgentina (di Johnny88 e GPG Imperatrice)
Evita Peron
La punta di diamante del peronismo e del nascituro Partido Justicialista è però lei, Evita. Una ex attrice di umili origini, seconda moglie del colonnello, è lei la cinghia di trasmissione tra il “popolo” e Peron. L’attività di Evita comincia ad essere intensa già in campagna elettorale dove infiamma le folle peroniste, visita fabbriche e officine e riceve i diseredati del popolo argentino. Nel 1947 Evita viaggia in Europa e compie un tour tra le cancellerie europee. L’Europa ha fame e l’Argentina ha grano e carne da offrire a un continente ancora stremato dalla guerra. Il tour non va benissimo, specie in Gran Bretagna dove il governo rifiuta di riceverla dopo lo smacco della nazionalizzazione delle ferrovie (che la gestione britannica aveva disastrato NDA).  Nel 1948 nasce la “Fondazione Evita” cui la primera dama è a capo. La fondazione benefica si avvale di contributi pubblici e privati, ed è rifornita da industriali e sindacati. La “Fundacion Evita” nel corso degli anni diventa quasi un welfare state parallelo costruendo scuole, ospedali, centri sportivi, edilizie popolari per gli indigenti, fornendo aiuti ai poveri e per le catastrofi naturali. Da questa intensa attività benefica nasce il mito di Evita che insieme al marito forma quasi una diarchia. Lei, Evita, è la portavoce degli umili, dei poveri, degli indigenti, dei malati e dei disadattati. L’attività benefica di Evita non è però priva di ombre, ed Evita è spesso accusata di essere solo uno strumento del potere clientelare del marito. Cominciano inoltre contrasti con la chiesa cattolica, che ritiene la fondazione della primera dama un concorrente pericoloso. Evita si scontra anche con il machismo imperante attirandosi le ire dell’esercito. Una donna, per giunta di umili origini con un tale potere non si può vedere. Evita si spende personalmente per riconoscere il diritto di voto alle donne, che ottiene nel 1947, e per la formazione della sezione femminile del nascituro “Partido Justicialista”. I problemi però sono dietro l’angolo. 
Nel 1949 Peron fa valere la sterminata maggioranza al Congresso e revisiona la costituzione del 1853 in senso “giustizialista” e per permettere la sua rielezione nel 1951, rielezione che avviene con un trionfale 63% dei suffragi. Ma il peronismo mostra anche il suo lato oscuro, un lato oscuro fatto di allergia al dissenso. Sebbene permanga la forma democratica e permangano le istituzioni liberali queste sono sostanzialmente svuotate di significato. Cominciano anche i casi di arresto di oppositori che culmineranno con l’arresto di Ricardo Balbin. Alcuni organi di stampa avversi al peronismo sono chiusi e la radio, mezzo di comunicazione prevalente all’epoca, è monopolizzata dai peronisti. Pur non diventando un vero regime dittatoriale a partito unico il peronismo cominciò ad assomigliargli molto. Cominciano i primi contrasti con due dei tre pilastri che avevano retto il peronismo: la Chiesa e l’esercito. La Chiesa, ormai unica istituzione realmente libera e autonoma, si vede minacciata da un peronismo che de facto la considera nulla più che un instrumentum regni al servizio della comunità peronista.  L’esercito invece non è unanime nel 1951 v’è addirittura un tentativo (stroncato) di golpe e i militari pongono il veto alla vicepresidenza di Evita Peron, costretta a rinunciare alla carica di numero 2 del paese con un accorato discorso al popolo. 
Nel secondo mandato si presenta il contro della prosperità. I prezzi del grano al mercato delle materie prime scendono e le riserve valutarie si prosciugano. Inoltre l’espansione del mercato interno riduce la quantità di merce esportabile e l’inflazione erode il potere d’acquisto del popolo peronista. La parola d’ordine del secondo mandato peronista è “produttività” e Peron, dopo essersi occupato della classe operaia tenta di avvicinarsi alla classe imprenditoriale. Ma nel 1952 muore Evita. La nazione è in lutto in tutto il paese si verificano vere e proprie scene di isteria collettiva e lo stesso Peron da quella data non sembra più in grado di riprendersi. Alla morte di Evita si aggiunge anche un ciclo economico non favorevole che costringe Peron a rivedere i propositi autarchici e a riporre la retorica anti-americana aprendosi così alle accuse non solo degli oppositori ma anche dei propri sostenitori. Inoltre si impongono anni di disciplina fiscale alle generose prebende distribuite in precedenza oltre al calmieramento di prezzi e salari per arrestare la spirale inflattiva.  Nel suo secondo mandato Peron rimane quindi prigioniero delle contraddizioni del peronismo. Vorrebbe avvicinarsi al ceto produttore, ma il suo status di icona del movimento operaio glielo impedisce. Vorrebbe rompere l’isolamento argentino e far fluire capitali e tecnologia americana, ma il nazionalismo e l’anti-imperialismo con cui infiamma le folle glielo impediscono. Il declino del peronismo prosegue finché Juan Domingo Peron trova un avversario degno di questo nome, un avversario tanto imprevisto quanto feroce e letale: La Chiesa cattolica
Già, proprio quella Chiesa cattolica che tanto aveva sostenuto Peron, quella Chiesa cattolica della cui dottrina sociale era pregno il giustizialismo peronista ora si rivolta contro Peron e ne causa la veloce caduta. Il conflitto con la Chiesa cattolica nel 1954 non è proprio un fulmine a ciel sereno, già da tempo la gerarchia ecclesiastica, inizialmente entusiasta di Peron, sta prendendo le distanze dal colonnello. Ai contrasti per la “concorrenza” della “Fundacion Evita”  si aggiunge la convinzione nel clero argentino che per il peronismo il cattolicesimo sia solo un “instrumentum regni” dietro cui si cela un culto della personalità di Peron ed Evita. A questo si aggiungono i richiami della Santa Sede di lasciar perdere le velleità terziste e porsi definitivamente nel solco del Blocco occidentale cristiano in funzione anti-comunista e l’imbarazzato diniego del Vaticano di prendere in esame la causa di beatificazione di Evita. Gli scricchiolii si sentono, ma la deflagrazione nel 1954 è imponente. Peron improvvisamente attacca il clero argentino colpevole di tollerare preti anti-peronisti. Il colonnello pronuncia un infiammato discorso in cui denunciava l’attività anti-peronista di membri del clero, preti, vescovi e Azione cattolica colpevoli di turbare la comunità armonica e subito la macchina della propaganda peronista si mosse di conseguenza. Si arrivò addirittura all’arresto di preti. Il clero rispose vibrante con una lettera pastorale in cui metteva in guardia Peron dalle indebite ingerenze. Il congresso per ripicca approva una legge sul divorzio in tutta fretta. Lo scontro con la Chiesa cattolica spacca la comunità peronista e soprattutto l’esercito, deputati e funzionari pubblici si dimettono in massa. Il clero comincia una vera propaganda anti-peronista. Improvvisamente e i confessionali delle parrocchie diventano i luoghi di ritrovo degli oppositori di Peron. Insomma la Chiesa cattolica sembra dire a Peron “Io ti ho creato e  io ti distruggo!”. Lo zenit viene raggiunto l’11 Giugno del 1955 quando la processione del Corpus Christi a Buenos Aires diviene una vera e propria manifestazione anti-governativa. In risposta i peronisti cominciano a fare razzie nelle Chiese, ad attaccare i fedeli in processione. Peron infine espelle due vescovi dal paese, scatta immediata la scomunica da parte del Vaticano. La marina militare, che mai ha sopportato Peron si schiera con la Chiesa. La Casa Rosada e Plaza de Mayo vengono bombardate, 300 manifestanti peronisti vengono uccisi. I peronisti incendiano la curia di Buenos Aires. Peron tenta di buttare acqua sul fuoco, condannando le violenze anti-clericali e rivendicando le radici cattoliche del peronismo, ma ormai il danno è fatto. Dalla cattolicissima Cordoba il generale Lonardi annuncia la marcia su Buenos Aires, l’esercito è fuori dal controllo di Peron che fugge in Paraguay. Il popolo di Peron però è ancora lì. Peron se ne va, i suoi lavoratori e i suoi operai restano.

1955-1973 GOLPE A CATENA
La questione della permanenza del popolo peronista nonostante l’esilio del suo leader risulterà nell’impossibilità di governare l’Argentina nei due decenni seguenti. Per 18 anni si alternano governi militari (1955-58; 1966-73) e governi civili (1958-1966). In questo periodo si verificano ben cinque colpi di stato (1956; 1962; 1966; 1970; 1971) e si diffonde il fenomeno del terrorismo e della violenza politica. L’economia prende una spirale negativa e sia i governi militari (1955-’58; 1966-’73) che quelli civili (1958-’66) devono scontrarsi col fatto che, pure senza Peron, pure messo fuorilegge il Partito Giustizialista, il peronismo è vivo e vegeto. Come spesso accade tra i militari non regna esattamente il sereno e dopo appena tre anni e un’economia in decomposizione la giunta tecnocratica lascia spazio alla democrazia. Viene eletto Arturo Frondizi dell’Union Civica Radical. I piani di risanamento economico dell’amministrazione radicale si scontrano con l’apparato peronista, più vivo che mai. Frondizi tenta una captatio benevolntiae ri-legalizzando il PJ che vince le elezioni di metà mandato raggiungendo la maggioranza in parlamento. I militari reagiscono e depongono il governo radicale. A Frondizi subentra quindi un altro radicale, Arturo Ilia. Sebbene Ilia facesse parte dell’ala yrigoyenista dell’UCR, e fosse quindi assai vicino ideologicamente al popolo peronista, l’apparato risponde con scioperi e manifestazioni. Ilia legalizza nuovamente il PJ, che nuovamente ottiene la maggioranza al congresso. Ancora una volta l’esercito reagisce e stavolta prende direttamente possesso del potere  col generale Ongania sciogliendo il PJ. Per un po’, nonostante un’economia asfittica, sembra regnare la pace. Sembra perché nel maggio ’69 scoppia la rivolta studentesca a Cordoba. Ben presto la rivolta sfocia nel terrorismo, comincia l’attività sovversiva del gruppo dei Montoneros, esponenti della sinistra estrema del peronismo. che arrivano a rapire e uccidere il generale Aramburu, presidente della giunta militare del ’56-’58. Dopo due golpe, il generale Alejandro Lanusse comprende che il paese, senza Peron, è nel caos. 

1973-1983 IL RITORNO E LA MORTE DI PERON; LA “GUERRA SPORCA” E LA GUERRA DELLE FALKLAND/MALVINAS

E così alla fine l’esercito, stretto da una morsa di rivolte sociali e iper-inflazione, richiama il salvatore della patria. Nel ’73 vengono svolte nuove e regolari elezioni vinte a furor di popolo dal peronista di sinistra Hector Campora. Campora rimane in carica per pochi mesi, giusto il tempo di “amnistiare” Peron dall’esilio e convocare nuove e immediate elezioni per l’Ottobre ’73. A 77 anni torna Peron, ma il leader è vecchio e stanco e morirà pochi mesi più tardi. Al suo ritorno nel giugno ’73 Peron assaggia la situazione del paese e soprattutto l’incredibile tensione all’interno del movimento peronista. che sta spingendo l’Argentina in una situazione di guerra civile de facto. 
Se mai l’espressione fascio-comunismo, con cui la trasversale vulgata neoliberista alla matriciana bolla qualunque voce critica, ha trovato realizzazione politica questa è stata con Peron e il primo peronismo. Attraendo supporto dai critici del sistema capitalista di ambo le fazioni politiche, Peron aveva creato intorno a se un movimento i cui sostenitori spaziavano dai simpatizzanti del fascismo ai rivoluzionari trotzkisty. I primi attratti dal nazionalismo militarista, i secondo affascinati dal progressismo sociale e dalla retorica anti-americana di Peron. L’assenza del leader però cominciava a fare implodere la galassia peronista. E Peron suo malgrado si rende conto personalmente della situazione quando al suo ritorno viene accolto da una sparatoria che oppone gruppi di destra e di sinistra, entrambe accorsi ad acclamare il suo ritorno. Una carneficina che produce un centinaio di vittime. Il “Patto Sociale” varato nei pochi mesi dall’amministrazione Campora e mantenuto dalla nuova amministrazione Peron sembra funzionare calmierando l’inflazione, che scende dal 60 al 30%, e innalzando i salari reali. Nel mentre Peron deve obtorto collo fare fronte ai “Montoneros” ormai talmente fuori controllo da arrivare a uccidere il segretario della CGT.  Vengono varate leggi restrittive sul terrorismo e Peron muore pochi mesi dopo. Il potere passa alla terza moglie, l’ex ballerina di locali notturni Isabelita Peron. Isabelita  è nulla più che una marionetta nelle mani del massone piduista spiritista ed evoliano Josè Lopez Rega, ministro degli interni. Durante il breve mandato di Isabelita la “Tripla A” (Alianza Anticomunista Argentina) un’organizzazione paramilitare di estrema destra foraggiata da Lopez Rega comincia a far strage dei Montoneros. Comincia la cosiddetta “Guerra Sporca” che si conclude solo nel 1979. Nel frattempo i militari detronizzano Isabelita, al suo posto il famigerato Jorge Videla. 

Desaparecidos 400x300 La Tenaglia degli Avvoltoi sullArgentina (di Johnny88 e GPG Imperatrice)
Desaparecidos
Trainati dal caos sociale ed economico che caratterizzò la presidenza di Isabelita i militari presero il potere incontrando un tacito consenso da parte della popolazione civile. Il golpe per molti fu un sollievo. I militari guidati da Videla avviano un programma di riforme neo-liberiste seguendo come modello il Cile di Pinochet. I salari reali vengono compressi, le barriere doganali abolite, i sussidi cancellati, gli scioperi vietati, il sindacato della CGT sciolto. La “Guerra Sporca” giunge nella sua fase più acuta. Cominciano i voli della morte. Oppositori e membri dei Montoneros o presunti tali vengono rastrellati, ammazzati e poi gettati in mare, è il dramma dei “desaparecidos”. Le stime ufficiali parlano di 10mila vittime, quelle ufficiose arrivano a 30mila. Ma all’esterno tutto va bene, il picco della surreale apparenza da sorridente famiglia del Mulino Bianco si tocca nel 1978 quando il mondo assiste applaudendo ai mondiali di calcio del 1978 che l’Argentina vince da padrona di casa sull’Olanda . Ma come ben sappiamo dietro la facciata perfetta si nascondeva il marcio dell’efferata strage, un’efferata strage contro cui un gruppo di madri avvolte dai loro fazzoletti bianchi comincia a marciare silenziosamente a Plaza de Mayo nel 1977 ogni giovedì. Le misure economiche dell’esercito sono un disastro. L’industria si distrugge, la domanda interna collassa, l’inflazione rimane a livelli altissimi (150%), i capitali interni fuggono, la bilancia commerciale va in rosso, il PIL ristagna. Capitali speculativi esteri si avventano sull’Argentina approfittando degli alti tassi di interesse e il debito estero comincia a ingrossarsi raggiungendo la cifra, all’epoca record, di 45 miliardi di dollari. La giunta comincia a vacillare. Nonostante il brutale stroncamento dei “Montoneros” l’opinione pubblica comincia ad essere irrequieta. Nel 1982 il generale Galtieri, subentrato a Videla,  gioca la carta del nazionalismo e occupa le Falkland/Malvinas. Un piccolo arcipelago conquistato dall’Inghilterra nel 1833 e da sempre rivendicato dall’Argentina le Falkland sono teatro di un conflitto-lampo che sconvolge il mondo. 
Non si sa bene cosa sia preso al generale Galtieri in quel momento. La giunta pensava che l’Inghilterra non avrebbe reagito e che gli Stati Uniti, che appoggiavano e sponsorizzavano il regime militare, sarebbero rimasti neutrali. Evidentemente non conoscevano molto bene la signora Thatcher e il legame della Iron Lady con Ronald Reagan. La Thatcher reagisce con il suo classico pugno di ferro, Reagan la appoggia. L’Argentina viene schiacciata nel giro di pochi mesi. La giunta militare argentina, che voleva salvare la sua declinante stella politica viene distrutta dall’azzardo. Per un grosso paradosso della storia la giunta argentina risulta essere la clamorosa zeppa che salva la traballante poltrona di Margaret Thatcher, all’epoca dell’attacco uno dei premier più odiati della storia inglese. Maggie Thatcher s’avvia verso il trionfo alle elezioni dell’anno successivo. La giunta argentina si dimette tra l’onta, l’ignominia e le marce delle madri di Plaza de Mayo che reclamano giustizia per i loro cari.   

1983-1999 IL RITORNO ALLA DEMOCRAZIA; IL “TRIONFO” DEL NEOLIBERISMO E IL CAMBIO FISSO

Nel 1983 la giunta convoca le elezioni sotto la spinta della protesta. A sorpresa i peronisti escono sconfitti dalle urne, battuti dal candidato radicale Raul Alfonsin. L’amministrazione radicale si pone l’obiettivo di rimettere in sesto l’economia del paese, di fare piazza pulita dei colpevoli dei crimini dell’esercito e di rendere finalmente giustizia alle famiglie delle vittime. Tutti questi ambiziosi obiettivi saranno disattesi. I militari fanno quadrato e il piano di pulizia e giustizia viene presto abbandonato. A livello economico l’inflazione ormai galoppa a quattro cifre , Alfonsin chiede aiuto al FMI che propone un pacchetto di austerità anti-inflazionista fatto di tagli alla spesa, calmieramento dei prezzi e privatizzazione di proprietà pubbliche. Alfonsin baldanzoso annuncia il “Piano Austral” che crea una brutale recessione. L’amministrazione di Alfonsin collassa rapidamente. Nel 1987 I peronisti vincono le elezioni di metà mandato strappando il Congresso ai radicali,  i sindacati sono in piazza in pianta stabile, il terrorismo di destra e di sinistra torna a prendere piede e il paese sembra sull’orlo di un nuovo golpe militare. La prospettiva del golpe militare non si realizza, se possibile però si passa dalla padella alla brace. Alle elezioni vince il peronista di destra Carlos Menem il quale sosterrà politiche completamente differenti dalle tradizionali politiche peroniste. Quando Menem entra alla Casa Rosada l’inflazione è stabilmente a quattro cifre, il debito estero supera i 60 miliardi e l’economia è ancora una volta in recessione. 

Menem Cavallo 437x300 La Tenaglia degli Avvoltoi sullArgentina (di Johnny88 e GPG Imperatrice)
Menem e Cavallo
Sono per l’America Latina gli anni ’90, gli anni del “Washington Consensus” e del neoliberismo. Menem si adegua al trend continentale svolta radicalmente verso politiche di massiccia privatizzazione (YPF, l’ENI argentina il caso più clamoroso), apertura ai capitali esteri e deregolamentazione. Il ministro dell’economia Domingo Cavallo vara il piano di convertibilità 1:1 col dollaro per riuscire a sconfiggere l’inflazione il cronico male che affligge l’Argentina. Il consenso immediato per Menem è tale che riesce a piegare le resistenze della sinistra peronista e del mondo sindacale. Addirittura Menem riesce a emendare la costituzione per garantirsi la rielezione nel 1995, rielezione che avviene direttamente al primo turno. I nodi però vengono ben presto al pettine. Le privatizzazioni spesso si rivelano autentiche svendite a interessi stranieri (YPF ad esempio venne venduta a metà del suo valore di mercato), la disoccupazione comincia a salire, il cambio fisso strangola lentamente il paese e il settore export, i capitali esteri fluiscono abbondanti e il debito estero si gonfia rapidamente superando i 150 miliardi. Emergono anche numerosissimi casi di corruzione, legati principalmente alle regalie durante le privatizzazioni, e l’amministrazione di Menem è duramente contestata per l’amnistia concessa ai militari. Nel ’99 quindi il potere torna in mano ai radicali che eleggono Fernando de la Rua, ma la situazione sta per precipitare rapidamente nell’abisso.  

1999-2010 LA BANCAROTTA, IL KIRCHNERISMO E LA RIPRESA

Cacerolazo 449x300 La Tenaglia degli Avvoltoi sullArgentina (di Johnny88 e GPG Imperatrice)
Cacerolazo
De la Rua eredita una situazione insostenibile. Debito estero esploso, deficit fuori controllo, povertà alle stelle disoccupazione ai massimi storici. Il modello “Menem-FMI-Washington Consensus” aveva arricchito una ristretta élite e impoverito tutto il resto del paese. De la Rua  deve ricorrere a misure d’emergenza negoziate con il Fondo Monetario. La protesta sociale monta e De la Rua richiama Cavallo. Cavallo aumenta le tariffe doganali facendo infuriare il Brasile e il MERCOSUR e cerca una via d’uscita dalla convertibilità, nel frattempo cerca di contrattare coi creditori offrendo uno “scambio” tra i bond a breve scadenza e bond a scadenza lunghissima con maggiori interessi. I capitali fuggono dal paese e Cavallo vara il “corralito” impedendo i prelievi bancari. E’ la fine. Le strade sono invase dalla protesta, suonano i “Cacerolazo”, le pentole dei manifestanti al grido di “Que se vayan todos” . La Casa Rosada è assediata dalla folla inferocita e De la Rua scappa ignominiosamente in elicottero. Dopo settimane convulse l’Argentina ritrova stabilità con il peronista Eduardo Duhalde, eletto dal Congresso come presidente provvisorio, che regge la transizione verso le elezioni di ottobre 2003. L’Argentina si dichiara insolvente sul suo debito estero e il Peso si svaluta a 3,50 sul dollaro. Quella bancarotta segna la fine di un’epoca non solo per l’Argentina, ma per l’intero continente. Proprio l’Argentina, l’allievo più zelante e applaudito del Fondo Monetario e delle teorie neoliberiste,  implode come nessun altro (vi ricorda nulla? Tipo la “Tigre Celtica”? Tipo la Spagna di Zapatero?). Da allora “neoliberismo” in America Latina diventa una sorta di parolaccia impronunciabile.

 La Tenaglia degli Avvoltoi sullArgentina (di Johnny88 e GPG Imperatrice)
Nestor Kirchner
Le elezioni del 2003 vedono a sorpresa la vittoria di un semi-sconosciuto governatore della provincia patagonica di Santa Cruz, Nestor Kirchner. Kirchner, esponente della sinistra peronista si qualifica al ballottaggio contro il ritornato Menem. Sebbene l’ex presidente chiuda in testa la prima tornata i sondaggi lo condannano a una gravosa sconfitta al ballottaggio, e prima di subire un’ingloriosa bastonata si ritira consegnando la Casa Rosada all’avvocato d’origini teutoniche. Kirchner si erge a moralizzatore del paese, ripulisce la Corte Suprema, revoca l’amnistia e comincia i processi contro i militari coinvolti nella dittatura. Kirchner rigetta le politiche dell’FMI e, seguendo la linea di ritorno del primato della politica sul mercato che ha caratterizzato il continente latino-americano nel primo scorcio di nuovo millennio, privilegia la lotta alla povertà e alla disoccupazione tramite politiche sociali. Il PIL fa boom e la decade post-insolvenza è caratterizzata da una crescita dell’ 8% annuo, da una disoccupazione declinante e da un tasso di povertà che torna nell’alveo della normalità. A trainare la ripresa dell’Argentina sono le esportazioni di soia e limone. Kirchner a sorpresa lascia la Casa Rosada nel 2007 per far posto alla moglie Cristina la quale, grazie alla forte popolarità del marito, viene eletta già al primo turno. Sebbene nominalmente il presidente sia Cristina, de facto Nestor rimane “l’uomo forte” e prende direttamente le redini del “PJ”. L’inizio del mandato di Cristina non è dei migliori, le proteste per un aumento (fallito) delle imposte sull’export dell’agricoltura portano a una clamorosa sconfitta dei Kirchner alle elezioni di metà mandato del 2009 dove l’ala kirchnerista del PJ perde la maggioranza assoluta al congresso. 


 2010-OGGI: LA MORTE DI KIRCHNER, CRISTINA SOLA AL COMANDO. IL “LATO OSCURO” DEL KIRCHNERISMO?

Cristina Fernandez 2 435x300 La Tenaglia degli Avvoltoi sullArgentina (di Johnny88 e GPG Imperatrice)
Cristina Kirchner
 Nel 2010 improvvisamente un infarto coglie Nestor Kirchner, proprio mentre si preparava a una nuova “staffetta” con Cristina. Il funerale in pompa magna aiuta la signora Kirchner a recuperare popolarità. Senza seri candidati dell’opposizione la “presidenta” viene rieletta a furor di popolo col 54% dei suffragi. Ma appena dopo la rielezione le cose cominciano a non girare più per il verso giusto. 
L’impetuosa crescita che aveva tirato l’Argentina fuori dal baratro comincia a rallentare, nel 2012 per la prima volta dal 2001 il paese crescerà meno della media continentale (+2,6 contro +3,2), e si riaffaccia un vecchio male, l’inflazione. Inflazione i cui dati ufficiali sono messi ripetutamente sotto accusa. Per il governo è al 9%, per i contestatori è al 20%. Inoltre rimane la dilagante corruzione. La Kirchner entra in rotta di collisione col potentissimo “Gruppo Clarìn”, il più famoso e temuto gruppo mediatico del continente. Il governo vara una nuova legge sui media che obbligherebbe la versione argentina del “Corriere” a cedere la larga maggioranza delle sue proprietà. Per il governo è la lotta contro uno scandaloso monopolio, per gli oppositori sono invece le solite pulsioni autoritarie del peronismo. Contestato il ruolo eccessivo del giovin Kirchner, Maximo, e della sua corrente i “camporisti” che stanno rimpiazzando i “pinguini” dell’era-Nestor. Il governo cerca di usare la maggioranza riconquistata al congresso per permettere alla Kirchner di correre per la terza volta e la folla scende in piazza in difesa della democrazia. Tornano i “cacerolazo” a Buenos Aires.
L’amministrazione della Kirchner comincia a esercitare un ruolo aggressivo in politica estera, forse per ravvivare il sentimento nazionalista in un momento difficile. YPF viene nazionalizzata. Per i critici una mossa suicida di un governo a caccia di facile popolarità. Per i supporter invece una legittima riappropriazione di un’azienda venduta a metà del suo valore. La Kirchner rinnova anche le velleità sulle Falkland bollando come intollerabile la passeggiata del principe William. E ora la notizia della sentenza newyorkese e del declassamento di “Fitch”. L’Argentina torna a raballare?


PARTE 2 – LE CRISI DEI GIORNI NOSTRI E DELL’ULTIMO QUINDICENNIO

LE NOTIZIE

Leggiamo dal sole 24 Ore: Argentina, torna l’incubo default con i tango bond. Le polizze sul debito volano da 1.100 a 4.200. Guerra con gli Usa dopo downgrade di Fitch. Gli esperti: la situazione sta precipitando
L’Argentina rischia di passare alla storia per essere l’unico Paese ad andare in default due volte in 10 anni. Entro il 15 dicembre – stando alla decisione choc del giudice di New York Thomas Griesa – dovrà rimborsare 1,3 miliardi di dollari ai detentori dei tango-bond che nel 2001 hanno rifiutato la ristrutturazione del debito proposta dal governo. A questi si aggiungono i warrant indicizzati al Pil in scaenza il 15 dicembre e che ammontano a circa 3 miliardi. 
La situazione sta precipitando Secondo gli analisti di Ig «la sensazione è che in Argentina la situazione stia precipitando. A confermare i timori degli investitori vi è il forte aumento delle quotazioni dei Ccd (Credit Default Swaps) a 5 anni sul debito sovrano del paese sudamericano (ovvero gli strumenti derivati che proteggono dal rischio di default, ndr) saliti a 4200 pb mentre solamente a fine ottobre venivano scambiati a 1000 punti base. Prevediamo nei prossimi giorni un aumento del flusso di capitali in uscita che provocherà un aggravamento della crisi finanziaria, un ulteriore rialzo delle tensioni sociali e un probabile taglio del rating sul debito argentino da parte di Moody’s e S&P’s. Non ci aspettiamo comunque, nel breve periodo (il 15 dicembre) un default tecnico da parte dell’Argentina ma crediamo che si aprirà una lunga battaglia legale».
Vaso di pandora riaperto A riaprire il caso è stata una querela avanzata da investitori e fondi di investimento statunitensi, tra cui Nml, controllato da Elliott Associates, e Aurelio, che hanno ancora in pancia i vecchi tango-bond e hanno respinto la ristrutturazione proposta dall’Argentina nel 2005 e nel 2010 per applicare una riduzione di circa il 65 per cento del debito, che è stata invece accettata dal 92 per cento dei creditori.
Se l’Argentina non rispetterà quanto sentenziato, il Tribunale Usa minaccia di inibire i pagamenti degli interessi ai detentori dei nuovi titoli ristrutturati. A quel punto potrebbe scattare un default tecnico da 24 miliardi di dollari, pari al debito emesso dall’Argentina tra il 2005 e il 2010. Come se non bastasse, alla decisione del Tribunale di New York ha fatto seguito il taglio di rating dell’agenzia di rating statunitense Fitch che ha declassato il debito di Buenos Aires di cinque gradini in un colpo solo, da “B” a “CC”, facendolo quindi scivolare a livello spazzatura e pericolosamente vicino alla “D” di Default. Un downgrade che arriva proprio in ragione delle conseguenze che scatterebbero qualora si riaprisse la voragine sul nuovo debito. Si profila quindi un dicembre caldo, una guerra aperta tra Stati Uniti e Argentina. Intanto l’amministrazione di Christina Fernandez de Kirchner ha già affermato di volere rivolgersi alla Corte d’Appello e eventualmente alla Corte Suprema per annullare la sanzione imposta. Il Governo deve inoltre affrontare un forte aumento delle tensioni sociali legate all’incremento marcato dell’inflazione.
Tango-bond holders indignati L’attacco degli Stati Uniti rischia di aprire un vaso di Pandora che si riteneva ormai chiuso per sempre e di scatenare l’ira di chi ha aderito al piano di ristrutturazione. Perché se l’Argentina andasse incontro dopo 10 anni a chi non ha aderito alla default “lacrime e sangue”, danneggerebbe allo stesso tempo coloro che invece lo hanno fatto rinunciando a una parte corposa del credito. Per questo motivo i detentori di tango bond che hanno aderito allo swap impugnano adesso la sentenza del giudice di New York. A distanza di un decennio, dopo tanta pazienza, sono riusciti a recuperare tra il 60 e l’85% del capitale. Ma adesso, con la situazione che rischia di precipitare, temono di perdere nuovamente quanto faticosamente recuperato dopo anni di pazienza.

Subito dopo leggiamo sempre dal Sole 24 Ore: Argentina, corte d’appello Usa rinvia la sentenza di rimborso del debito ai fondi
 Punto a favore dell’Argentina nella lunga e complessa vicenda dei bond: una corte d’appello degli Stati Uniti ha dato più tempo a Buenos Aires per difendersi dall’obbligo imposto giorni fa dal giudice federale Thomas Griesa di pagare 1,33 miliardi di dollari ai detentori dei bond che hanno respinto le due ristrutturazioni dell’indebitamento, nel 2005 e 2010, a seguito del default del 2001. La corte d’appello ha quindi rigettato quanto richiesto dal giudice Griesa, il quale aveva stabilito che Buenos Aires depositi in un fondo di garanzia gli 1,3 miliardi di dollari pretesi da tali possessori di bond entro il 15 dicembre prossimo, data in cui l’Argentina deve d’altra parte pagare 3,3 miliardi agli obbligazionisti che hanno invece accettato le ristrutturazioni. I fondi speculativi Usa avevano ricorso al tribunale di New York per ottenere appunto il rimborso al valore nominale dei bond in default, da loro acquisito a 20/25 centesimi per dollaro. Con la sua decisione, la corte d’appello ha dato all’Argentina più tempo per difendersi dalla sentenza Griesa, e cioè fino al 27 febbraio. In questo modo, precisano i media locali, si allontana la possibilità che Baires possa entrare in in un default tecnico.

IL DIBATTITO

Qui su Rischio Calcolato sono gia’ stati scritti articoli al riguardo. Vi segnalo questi articoli:
Il caso argentino e’ molto studiato. I Brasiliani per definire gli Argentini usano dire: “sono Italiani, che si sentono inglesi e che parlano spagnolo”. A mio avviso non hanno tutti i torti.

GLI INDICATORI ECONOMICI DI OGGI E DEGLI ULTIMI 20 ANNI

Andiamo un po’ a vedere gli indicatori economici degli ultimi 20 anni.

arg1 La Tenaglia degli Avvoltoi sullArgentina (di Johnny88 e GPG Imperatrice)

 Cosa si comprende da questa serie di Grafici?

GLI ANNI 90 ED IL DEFAULT DEL 2002: Dopo il periodo dell’iper-inflazione, l’Argentina decide di curare il forte “mal di testa” con… una revolverata alla tempia. Solito Film di tante crisi. Cambio Fisso col Dollaro!  L’inflazione presto si azzera, e’ vero. Ma la bilancia dei Pagamenti va diretta in passivo, come e’ ovvio che sia. La Produzione rivolta all’export si indebolisce e l’import sale. Ovviamente la disoccupazione cresce. Il PIL dopo qualche tempo inizia ad arrancare, come tutta l’economia reale. Bilancia dei Pagamenti passiva per qualche anno, significa flussi ingenti di capitali in uscita, e Debito estero in decisa crescita, specialmente quello privato (il Debito pubblico era piuttosto basso perfino poco prima del Default). Se notate e’ lo stesso identico film visto nei PIIGS (vedi Spagna). Ad un certo punto, il tutto non sta in piedi, ed i creditori tendono ad uscire, chiedendo per restare maggiori interessi sempre piu’ stratosferici. Il tutto porto’ la banca centrale ad una ricerca di difesa (del cambio fisso) e presto le Riserve furono prosciugate. Ergo abbandono del cambio fisso e Default successivo. Ovviamente nel momento precedente e contestuale alla crisi crolla il PIL e la disoccupazione va nell’iperspazio, ed il debito ovviamente triplica, visto che era nominato in dollari USA in larga parte. Nel momento pre-crisi si introducono valute complementari, che comunque non risolvono in alcun modo il problema di fondo.

DAL DEFAULT AD OGGI: l’Argentina col Default decise di non pagare parte dei suoi debiti (ma questo lo sapete). Interessante notare che con la svalutazione, la Bilancia dei Pagamenti torna fortemente attiva, la produzione riparte, la disoccupazione crolla, il PIL cresce in modo netto ed i conti pubblici migliorano. Come in tutte le svalutazioni, l’inflazione cresce ma in modo marginale rispetto all’entita’ della svalutazione. Ad un certo punto, ove evitare un inflazione galoppante l’Argentina interviene per non svalutare ulteriormente. Tutte le tendenze di fondo restano positive, ma ovviamente l’attivo del conto corrente si riduce. Dal 2008 in poi si nota una divaricazione del “deflattore del PIL” e dell’indice dell’inflazione, segnale che semplicemente il Governo Argentino mente sul dato. Si accumula un differenziale cumulato tra i 2 indici negli ultimi 5 anni del 35%. Immagino che il “timore del governo” stia essenzialmente nella scarsa popolarita’ presso il proprio elettorato dell’alto tasso di inflazione. Comunque la curva del dedlattore sul PIL incrocia nell’ultimo grafico in basso a destra quella del tasso di cambio e quindi l’attivo della bilancia dei pagamenti si azzera.

 Cosa si desume?
a) La Crisi ed il Default del 2002 in Argentina ha stessa identica natura di quella in atto nei periferici in Europa: cambio fisso insostenibile!  (quindi bilancia pagamenti passiva, boom import, deflazione, flusso capitali in uscita, debito estero crescente, PIL e produzione in difficolta’ e disoccupazione in crescita …. ergo ad un certo punto: sfiducia, tassi in crescita, fuga capitali, riserve annientate dalla difesa del cambio insostenibile e quindi default)
b) Col Default e la Svalutazione, l’Argentina s’e’ rimessa in moto (gli indicatori lo testimoniano)

I PROBLEMI MACROECONOMICI DELL’ARGENTINA DI OGGI

Quali problemi ha oggi l’Argentina dal punto di vista macro-economico?
a) Certamente ha un inflazione galoppante superiore a quella dichiarata. Il Governo teme l’inflazione per motivi anche di consenso e cerca di abbellire i dati ed al contempo cerca di tenere a freno svalutazioni del cambio che ovviamente spingerebbero l’inflazione stessa. Tutto cio’ crea 3 problemi: il rischio di rispedire la bilancia dei pagamenti in passivo (con quel che ne puo’ conseguire a lungo termine), il cambio reale che si divarica da quello ufficiale e un problema di consenso e terrore da parte degli Argentini stessi (che in sintesi cercano dollari per metterli sotto la mattonella)
b) Un potenziale Default Tecnico atipico causato da “fantasmi del passato”. I fondamentali attuali ci dicono che un default e’ tecnicamente una possibilita’ remota come assicura anche lo studio BMI in tabella (l’Argentina ha bilancia dei Pagamenti equilibrata e quindi flusso di capitali con l’estero connesso all’economia reale sotto controllo; inoltre il debito estero non e’ in fase di esplosione e quello pubblico non e’ certo enorme). Inoltre la cassa e’ ricostituita. Quindi un default puo’ solo avvenire unicamente se si sommano 2 cose: panico e fantasmi del passato. Come? Rifacendo spuntare i debiti dell’era del default.

sud america 394x300 La Tenaglia degli Avvoltoi sullArgentina (di Johnny88 e GPG Imperatrice)

 LA GUERRA TRA ARGENTINA E FMI (E POTENTATI VARI USA)

Va ricordato che la presidenta Fernandez de Kirchner e prima di lei il marito Nestor Kirchner, ha costruito buona parte del suo successo interno sui danni provocati all’Argentina dal Fmi e in particolare dalle sue ricette rigoriste che nel 2002 portarono al default argentino.
Di recente la Kirchner ha aumentato la spesa pubblica, tanto che nel 2012, probabilmente, il bilancio si chiuderà con il primo deficit primario (cioè le spese dello stato supereranno le entrate, prima ancora che vengano conteggiate le spese per interessi sul debito) dopo anni. L’Argentina però, da quanto ha fatto bancarotta, non ha più un vero accesso al mercato del debito mondiale: in altre parole nessuno si fida a prestarle soldi e il paese non emette titoli di stato. Così i soldi per finanziare la politica di spesa pubblica voluta da Kirchner sono arrivati dalla Banca Centrale, che a partire dal 2010 ha progressivamente perso indipendenza, fino a diventare oggi una succursale del governo. Dal 2010 ad oggi circa 16 miliardi di dollari sono passati dalla banca centrale al governo. Nel contempo la Banca centrale continua a immettere moneta sul mercato. È una pratica normale, quando un’economia cresce, che la Banca centrale stampi moneta per “accompagnare” lo sviluppo economico. Ma la Banca centrale argentina sta stampando molta più moneta di quanto sia necessario. Nel 2011 M2 (un indicatore usato in economia per misurare la quantità di moneta in circolazione) è aumentato del 29 per cento, una cifra estremamente alta per gli standard internazionali, e per il 2012 è previsto un altro aumento del 26 per cento. L’immissione di così tanta moneta sul mercato ha un effetto quasi immediato: l’inflazione. Quando aumenta la quantità di denaro in circolo, ma non aumentano di pari passo i beni e i servizi prodotti, il denaro perde di valore. A parità di denaro, quindi, diventa più difficile comprare gli stessi beni che ci si poteva permettere qualche tempo prima. Secondo il governo argentino, l’inflazione procede in maniera normale, almeno per un paese in via di sviluppo. Ma sappiamo che le cose non stanno esattamente cosi’.
Un’inflazione così alta spaventa gli argentini, che negli ultimi 30 anni hanno vissuto tre momenti di iper-inflazione (due volte negli anni ’80 e poi nel 2002, in seguito al default). Il modo più facile per difendersi da una moneta che perde rapidamente valore è quello di acquistare un’altra moneta che invece resta stabile. Oppure si possono comprare proprietà denominate – ovvero che si pagano e si comprano abitualmente – in un’altra moneta che resta stabile. Questo è proprio quello che hanno cercato di fare gli argentini: hanno comprato dollari, li hanno messi in banca e hanno comprato immobili (case, ville, terreni) con prezzi denominati in dollari. Per acquistare dollari bisogna rivolgersi (direttamente, o più spesso tramite altre banche) alla banca centrale. Quella Argentina ha riserve in dollari per circa 50 miliardi.
Il problema è che anche buona parte del debito argentino è denominato in dollari. Sedici di quei 50 miliardi di dollari serviranno a ripagare gli interessi sul debito in dollari per i prossimi cinque anni. Cambiare la denominazione del debito da dollari a pesos equivale a fare default (ripagare un debito contratto, ad esempio in dollari, con una moneta che perde valore e che può essere stampata a piacimento, significa una perdita potenzialmente enorme per chi ha prestato i soldi, inizialmente, con una moneta stabile). Il governo argentino ha messo in pratica molte misure per impedire che i dollari della banca centrale escano da paese.
L’ultima misura è vietare ai cittadini argentini di prelevare in dollari. Altre misure hanno colpito gli importatori : chi vuole importare prodotti in Argentina deve ricevere un autorizzazione ministeriale e deve esportare merci argentine per un valore pari alle merci che ha importato. Con questo sistema, il governo argentino spera di mantenere in equilibrio la bilancia commerciale (la differenza tra le importazioni e le esportazioni) e così evitare che il peso si svaluti ancora nei confronti del dollaro. Anche l’arrivo di capitali esteri sotto forma di investimenti oggi è praticamente impossibile, visto che il governo ha fatto nazionalizzazioni di recente.
Lo scontro fra FMI ed Argentina e’ continuo. L’ultimo capitolo e’ di Christine Lagarde, che ha dato un ultimatum all’Argentina che entro meta’ dicembre 2012 dovrà fornire dati attendibili sull’inflazione e sul Prodotto interno lordo.

(di Johnny88 e GPG Imperatrice)

Articolo apparso su Rischio Calcolato il 9 Dicembre e riproposto il 28 Dicembre 2012

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